Napoli è stata scossa in queste settimana da un’ondata di violenza tra i giovani: tre ragazzi sono stati uccisi a colpi d’arma da fuoco. Ma cos’è davvero Napoli?
Una sola città, due anime. Un solo territorio, due volti. Siamo a Napoli, capoluogo della Campania, teatro nelle ultime settimane di tremendi fatti di cronaca. Tre giovanissimi uccisi a colpi di pistola in un contesto di violenza giovanile, di guerra tra bande, di larghissima diffusione di armi da fuoco.
Centro, periferia o provincia: non cambia la sostanza. Napoli da blindare, Napoli da monitorare h24 e da disarmare secondo Prefettura e Comune. Come nei periodi più bui, quelli delle guerre di camorra. Prima ancora della prevenzione, la repressione. Abbiamo incontrato Nino Daniele del comitato anticamorra in pieno centro, in piazza San Domenico Maggiore. Anche in un giorno infrasettimanale, Napoli è invasa da turisti che passeggiano al sole. Ammirano chiese, monumenti, panorama.
Subito dopo l’uccisione del 15enne Emanuele Tufano, il 24 ottobre scorso, il comitato ha parlato della necessità di “iniziative concrete che mettano assieme prevenzione e repressione”. “Affrontiamo una questione molto difficile e dolorosa che ci rimanda ad alcuni temi di fondo. – ha detto Daniele – La città non riesce ad offrire una base produttiva e culturale alle nuove generazioni. È un problema che viene da lontano, nonostante Napoli abbia subito tanti cambiamenti negli ultimi anni”.
Secondo Daniele, già assessore al Turismo e alla Cultura di Napoli, nelle analisi fatte in questi giorni si è sottolineata poco l’enorme migrazione intellettuale di giovani che la città ha conosciuto nel corso di questi anni. Migrazione “che è dannosa da vari punti di vista. È dannosa per i giovani che rimangono, che perdono riferimenti e modelli a cui ispirarsi. Tempo fa c’era la politica, c’erano i partiti, c’era il sindacato, c’era la contestazione, c’era l’oratorio, c’erano quelle che chiamiamo agenzie di socializzazione”.
“Uso sempre il modello di Scampia come riferimento. – ha continuato Nino Daniele – Se si concentra tutto il disagio in una sola zona e c’è un solo modello sociale di comportamento, chiaro che questo si riproduce. Ha una sua influenza negativa anche sugli aspetti formativi. Sembra che l’unico destino dei giovani sia di studiare, investire su loro stessi. Ma se poi se ne vanno, non possono restituire ai loro coetanei o alla loro città tutto quello per cui si sono impegnati, hanno fatto sacrifici e si sono migliorati”.
Pochi giorni fa è stato presentato il dossier per rendere Pulcinella patrimonio dell’Unesco promosso da Domenico Scafoglio. L’evento si è tenuto in piazza Municipio a Napoli alla Fontana di Nettuno, in prossimità della scultura di Gaetano Pesce Tu si ‘na cosa grande, dedicata proprio a Pulcinella. Daniele recentemente ha pubblicato il suo ultimo libro, Il daimon comico, che affronta appunto tutti i significati filosofici, storici, antropologici della maschera di Pulcinella.
“Pulcinella è un po’ emblematico di queste due città. – ha spiegato Daniele – Testimonia proprio la difficoltà dell’élite di questa città di integrare in un progetto comune gli strati popolari. Il tratto popolare più autentico di Pulcinella è il suo carattere contestativo del potere. Il comico, l’ironia, sono un modo attraverso cui si contesta un potere fattosi distante e oppressivo. In questo senso la maschera aiuta a leggerci come storia, come cultura”.
È la Napoli dei due volti, dicevamo. Napoli è la città millenaria e ricca di storia, di cultura, di arte. Presa d’assalto da turisti e appassionati tutto l’anno. Mentre di notte si spara, di giorno si preparano i festeggiamenti per i 2500 anni di storia. Mentre i ragazzini imparano a usare le pistole, si chiede all’Unesco il riconoscimento di Pulcinella patrimonio dell’umanità. È millenario lo stesso dualismo, come dimostra Spaccanapoli, la strada che taglia in due la città.
“Ci sono due città – ha concluso il rappresentante del comitato anticamorra – distanti territorialmente e socialmente. Gli illuministi parlavano di una testa di gigante su un corpo gracile. Una metafora che ci portiamo nella nostra storia contemporanea, che si ripropone. Non siamo riusciti ad affrontare la deindustrializzazione, ad esempio. Altre città europee in 30 o 40 anni hanno affrontato più trasformazioni urbanistiche, noi siamo al palo”.
Ogni giorno c’è chi abbraccia le due Napoli, che non le respinge ma che le accoglie. Don Luigi Merola è stato minacciato di morte dalla camorra per aver condannato dall’altare gli assassini della giovane Annalisa Durante, uccisa durante un raid della criminalità. Da allora ha dedicato la sua vita a salvare i giovani di Napoli. Quelli che hanno conosciuto solo un volto della città, il più oscuro. Don Luigi, con la sua Fondazione ‘A Voce de Creature, cerca di mostrargli il secondo. Quello fatto di scuola, di cultura, di lavoro, di speranza. Di vita vera.
“Noi andiamo a prendere i ragazzi che non vanno più a scuola. Lo facciamo prima che arrivino gli assistenti sociali. Abbiamo scoperto che molti non andavano a scuola perché avevano i genitori in carcere e nessuno li accompagnava. La Fondazione è un braccio armato fatto di penne, di quaderni e di libri”, ci ha spiegato don Merola. I ragazzi accolti dalla Fondazione pranzano, si occupano dei compiti di scuola, poi si dedicano a vari laboratori. Sport, teatro, musica, ma anche corsi di estetista ed arte bianca.
“Togliere i minori dalla strada significa togliere manovalanza alla camorra. Nessun bambino nasce delinquente. Purtroppo in questa città di Napoli la camorra è entrata nel tessuto sociale. Certi fenomeni si sono accentuati ancora di più con le serie tv. Lavoriamo da soli, in rete con alcune scuole e con poche famiglie sane. Il contesto è molto difficile, quasi tutti i genitori sono in carcere”. Don Luigi ci ha indicato un ragazzo che si è laureato e che oggi lavora con lui: è parente di un boss del quartiere, ma quella vita non l’ha mai voluta conoscere.
Pochi giorni fa presso la Fondazione si è recato in visita il Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Poco dopo la struttura di don Merola è stata presa di mira dai ladri. Don Luigi si è rimboccato le maniche, ancora una volta. Quella faccia di Napoli non può vincere. “Napoli deve diventare una sola, mi sono stancato di parlare di due Napoli. – ha concluso don Luigi – A volte c’è la luce, altre volte le tenebre. Ricordiamoci che per vedere le stelle si deve stare a buio. Napoli in questo momento è al buio, mi auguro che presto le stelle ritornino a splendere”.