Persone disperate sulla nave Geo Barents di Msf: dopo il salvataggio in mare uomini adulti sono stati separati dalle proprie famiglie. Dramma nel Mediterraneo.
Uomini armati su un’imbarcazione al largo della Libia hanno impedito il salvataggio di donne e bambini. È la testimonianza dell’equipaggio della Geo Barents, nave di ricerca e soccorso di Medici Senza Frontiere.
Msf alla fine è riuscita a trarre in salvo i sopravvissuti, 83 uomini e minori non accompagnati. Disperati poiché separati da 29 donne e bambini che sono stati riportati indietro dagli uomini armati non meglio identificati. La Geo Barents sta ora facendo rotta verso il porto di Crotone.
“A bordo abbiamo persone disperate – ha detto Mara Eliana Tunno, psicologa di Medici Senza Frontiere a bordo della Geo Barents – Ci chiedono solo di poter rivedere le loro famiglie. Un uomo ha provato a buttarsi in mare per tornare da sua moglie e i suoi due figli di 10 anni e 4 mesi. È essenziale ricongiungere queste famiglie. Istituzioni e organizzazioni devono farsi carico di questa tragedia“.
Il tutto mentre in queste ore si stanno moltiplicando gli sbarchi, con le ong impegnate in diverse zone del mar Mediterraneo. E mentre il presidente della Camera dei rappresentanti libica Aguila Saleh il trasferimento in Libia dei detenuti nelle carceri italiane per permettere loro di scontare le pene nel Paese di origine.
Partiamo dal caso della nave di Msf, che ieri stava raggiungendo un gommone in difficoltà per soccorrere le persone a bordo su indicazione della guardia costiera libica. Il natante stava rapidamente affondando. Nelle vicinanze si trovava un’imbarcazione veloce con persone armate a bordo. Stando ai racconti dei sopravvissuti, poco prima quegli stessi uomini avevano minacciato le persone sul gommone e sparato in aria, facendo cadere in acqua oltre 70 persone.
Al termine delle operazioni l’imbarcazione si è allontanata con 29 donne e bambini a bordo. “Un comportamento aggressivo e irresponsabile – ha dichiarato Flavia Pergola, portavoce di Msf a Notizie.com – da parte di un’imbarcazione con uomini armati a bordo è inaccettabile e mette in pericolo la vita di molte persone e separa interi nuclei familiari. Gli 83 uomini e ragazzi salvati sono ora a bordo della Geo Barents in stato di disperazione, poiché i loro familiari, donne e bambini, sono stati respinti con forza in Libia”.
Intanto in queste ore, come già accennato, sono diverse le operazioni di salvataggio effettuate nel Mediterraneo. La nave Ocean Viking della ong Sos Mediterranee ha attraccato a Brindisi con a bordo 48 persone, tra cui 44 minori non accompagnati. La barca a vela Safira di Mediterranea Saving Humans, ha soccorso 77 migranti in pericolo in acque internazionali ed è ora in viaggio verso Lampedusa. A bordo si trovano bambini e una donna gravemente intossicata dalle esalazioni del carburante.
Questa mattina è attraccata poi al molo Manfredi di Salerno, la nave Aita Mari con a bordo 33 siriani di cui: 3 minori e 2 donne. 28 persone sono state messe in salvo dalla motovedetta Cp 325 della guardia costiera di stanza di Pozzallo. Si tratta di 22 uomini e 6 minorenni, tutti maschi, provenienti da Egitto e Siria. Al largo di Capo Teulada in Sardegna, invece, una motovedetta dell’esercito italiano ha recuperato in mare 11 migranti. Questi ultimi sarebbero sopravvissuti ad un naufragio e sono tuttora in corso le ricerche dei dispersi. In quasi tutti i casi i natanti erano partiti dalle coste libiche e algerine.
Come già accennato, il presidente della Camera dei rappresentanti libica Aguila Saleh ha incontrato ieri il presidente della Camera dei deputati italiana Lorenzo Fontana. Al centro della riunione la migrazione irregolare, la situazione dei detenuti libici in Italia e la partecipazione italiana alla ricostruzione della Libia.
“Il fenomeno è alimentato dalla povertà, dai conflitti e dall’instabilità nei Paesi di provenienza dei migranti. – ha detto Saleh – Stiamo collaborando con l’Italia per contrastare i flussi illegali, ma c’è necessità di soluzioni strutturali basate sullo sviluppo economico dei Paesi d’origine“. Saleh ha chiesto alle autorita’ italiane di considerare un trasferimento dei detenuti in Libia per permettere loro di scontare le pene nel Paese di origine. Saleh ha sottolineato come questa misura avrebbe un significativo impatto umanitario. Consentendo alle famiglie di visitare i propri cari e alleviando la pressione diplomatica sulla questione.
Sulla questione immigrazione, inoltre, è attesa per il 4 dicembre, la decisione della Corte Cassazione che sarà chiamata a decidere se i giudici italiani possono mantenere discrezionalità nella valutazione di un Paese sicuro o dovranno semplicemente attenersi alla lista varata dal governo. Nel merito, i Tribunali hanno chiesto anche un parere alla Corte di giustizia dell’Unione europea (Cgue).
Al centro dello scontro tra governo e toghe ci sono i centri migranti realizzati dall’Italia in Albania di Schengjin e Gjader a seguito della stipula di un protocollo d’intesa tra i due Paesi. Per due volte due gruppi di migranti provenienti da Bangladesh ed Egitto (Paesi considerati “sicuri” dal governo) sono stati trasportati nei centri albanesi. Il Tribunale di Roma in entrambi i casi ne ha ordinato il rientro in Italia. Il Ministro degli Esteri albanesi Igli Hasani ha dichiarato che il futuro dei centro “è una questione che riguarda il governo italiano. Per noi è importante restare impegnati con i nostri amici e alleati italiani, la nostra è una relazione strategica, non importa quale partito sia al governo a Tirana o a Roma”.
L’Ente gestore dei centri, la Medihospes, sta intanto facendo rientrare in Italia tutti gli operatori sociali. Le strutture resteranno comunque operative e vigilate anche se con personale ridotto. Il tutto, proprio in attesa del 4 dicembre. A monitorare la situazione dei centri anche l’Unhcr, l’agenzia dell’Onu per la gestione dei rifugiati. “Unhcr fa un lavoro a garanzia dei richiedenti asilo. – ha spiegato Filippo Ungaro dell’agenzia a Notizie.com – Se ci dovessero essere altre operazioni saremo al fianco dei richiedenti monitorando le attività”. L’agenzia delle Nazioni Unite si reca sulle navi della Marina militare ed in Albania solo al momento delle operazioni.