Ricordate l’accusa di Buffon ad un arbitro – quando gli disse che aveva “un bidone al posto del cuore? In questo caso, è letterale.
In una domenica che si preannunciava come tante altre per gli appassionati di calcio dilettantistico, a Guardavalle, piccolo comune in provincia di Catanzaro, si è consumato un episodio che ha lasciato l’amaro in bocca a molti e sollevato questioni ben più profonde sullo sport e i suoi valori inclusivi. Vincenzo Soverino, affetto da Sla e figura emblematica nel panorama dell’impegno civile per i diritti delle persone con disabilità, si è visto negare la possibilità di seguire la sua squadra del cuore dal bordo campo, un privilegio non solo emotivo ma simbolico della sua battaglia quotidiana.
La decisione dell’arbitro della sezione Aia di Locri di attenersi rigidamente al regolamento ha impedito a Soverino di vivere la partita nella posizione che aveva sempre occupato durante gli incontri casalinghi. La motivazione ufficiale? Il rispetto delle norme per garantire sicurezza e regolarità nel svolgimento del gioco. Tuttavia, questa scelta ha sollevato un polverone non solo tra le mura dello stadio ma anche oltre, coinvolgendo istituzioni locali e nazionali nel dibattito su cosa significhi realmente promuovere uno sport inclusivo.
Il sindaco di Guardavalle non ha esitato a scrivere ai vertici dell’Associazione Italiana Arbitri denunciando una “mancanza di umanità” nell’accaduto e sottolineando come tale gesto abbia arrecato danno all’immagine dello sport stesso. Un’accusa grave che trova eco nelle parole della Federazione italiana per il superamento dell’Handicap (Fish), la quale ha espresso “profondo sdegno” per l’accaduto, ritenendolo in netto contrasto con i principi fondamentali della Costituzione italiana riguardanti lo sport come attività sociale ad alto valore inclusivo.
Di fronte alle crescenti critiche, l’associazione arbitri attraverso una dichiarazione ufficiale ha tentato di placare gli animi: scuse personali sono state espresse per la percezione generata dalla decisione presa sul campo. Tuttavia, queste parole sembrano suonare vuote se confrontate con l’amarezza provata da chi vede negarsi l’accessibilità allo sport nonostante le battaglie quotidiane contro barriere ben più grandi.
Questo episodio riporta alla luce interrogativi fondamentali sulla natura dello sport dilettantistico italiano e sul suo ruolo all’interno della società. Se da un lato le normative sono indispensabili per garantire ordine e sicurezza durante gli eventi sportivi, dall’altro è imperativo chiedersi quando queste diventano ostacoli insormontabili all’inclusione sociale.
La vicenda vissuta da Vincenzo Soverino getta ombre pesanti sulla capacità dello sport dilettantistico italiano di essere veramente aperto a tutti. In uno scenario ideale dove lo spirito competitivo si fonde con valori quali solidarietà ed empatia, episodi come quello accaduto a Guardavalle rappresentano passaggi indietro difficili da accettare.
L’impegno civile mostrato da figure come Soverino merita rispetto ed ammirazione; esso ricorda costantemente quanto sia importante lavorare senza sosta affinché lo sport possa essere davvero uno spazio aperto ad ogni individuo senza distinzioni o barriere. La speranza è che incidenti del genere possano trasformarsi in opportunità per riflettere seriamente sui valori che vogliamo promuovere attraverso lo sport: solo così potremmo aspirare ad una società realmente inclusiva dove nessuno debba mai sentirsi escluso dal gioco più bello del mondo.