“Si può fare di tutto affinché gli incidenti non accadano, poi però l’imponderabile si mette di mezzo. Si tratta di episodi che possono accadere”.
A parlare in esclusiva per Notizie.com è Sergio Orsini, presidente della Società speleologica italiana. Con Orsini abbiamo analizzato la vicenda di cui è stata protagonista la speleologa Ottavia Piana, rimasta bloccata per alcuni giorni all’interno di una grotta.
Vicenda che, grazie a decine di soccorritori, si è conclusa positivamente. La notte scorsa, infatti, la 32enne originaria di Adro in provincia di Brescia, è stata portata fuori dall’anfratto. Ottavia, istruttrice presso lo Speleo Cai di Lovere e segretaria nell’azienda di famiglia, ora è ricoverata in ospedale con lesioni e fratture varie ma è sempre rimasta cosciente. 159 tecnici hanno operato per 75 ore nelle profondità della grotta Abisso Bueno Fonteno, tra il lago d’Iseo e quello di Endine in provincia di Bergamo.
“Si tratta di episodi che possono accadere. – ha spiegato Orsini – Si cerca di fare di tutto affinché non succedano, di adottare tutte le precauzioni possibili ed immaginabili. C’è poi però l’imponderabile che si mette di mezzo. Credo sia questo il caso. Ad un certo punto ha ceduto un pezzo di roccia. A seguito del cedimento della lastra, dov’erano già passate altre persone, la ragazza è caduta. Mi spiace molto per lei. Ci sono persone che hanno delle sventure, sembra quasi che capitino tutte a loro. Ma un cedimento strutturale è imponderabile”.
Al lavoro per salvare Ottavia Piana in prima linea c’è stato il Corpo nazionale soccorso alpino e speleologico (Cnsas), supportato da protezione civile e vigili del fuoco. I soccorritori hanno analizzato le lesioni sul campo, riscontrate in tempo reale e non di piccole entità. Con il proseguire dell’intervento sono stati affrontati gli aspetti sanitari emergenziali. L’operazione è scattata alle ore 22 e 30 di sabato scorso quando alcune persone, amici della speleologa, hanno lanciato l’allarme.
“Secondo me non ci sono stati errori né carenza di sicurezza. – ha continuato il presidente degli speleologi italiani – È nella forma mentale di tutti gli speleologi attrezzarsi in modo che non succedano incidenti. Tutti sono dotati di attrezzature di sicurezza e conoscono i protocolli che vengono applicati in maniera quasi involontaria. La preparazione che viene fatta nei corsi per diventare istruttore, visto che la ragazza lo è, rendono tutte le procedure praticamente automatiche. È come attraversare la strada e guardare a destra e a sinistra“.
Per soccorrere Piana sono giunte squadre provenienti da Lombardia, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Piemonte, Trentino Alto Adige e Veneto (successivamente si sono aggiunte anche quelle arrivate da Campania, Toscana, Umbria, Marche, Lazio e Sardegna). Subito si era capito che le operazioni si preannunciavano molto lunghe e tecnicamente complesse perché il punto in cui si trovava la speleologa era inesplorato.
“Il Sebino (l’antico nome del lago d’Iseo, ndr) è un serbatoio naturale di acque che possono essere intercettate per uso potabile. – ha affermato Sergio Orsini – Lo stesso acquedotto di zona è interessato alle ricerche. Non è ben chiaro quali siano i punti di estrusione delle acque interne. Erano state fatte delle colorazioni per capire quali fossero lo sorgenti interessate dal bacino interno. La volta precedente erano stati posizionati dei fluorocaptori (i traccianti fluorescenti, ndr) per verificare se il percorso delle acque fosse esattamente quello ipotizzato”.
Dunque la zona oggetto di esplorazione era pericolosa? “No, la zona non era particolarmente pericolosa. – ha concluso Orsini – Non c’è una zona più a rischio di un’altra. Esistono aree simili in Toscana, Puglia, Calabria. Per di più che tutti gli speleologi sono esperti“.