Dall’Australia arriva un nuovo studio che lancia un vero e proprio allarme, l’aviaria nelle donne incinte è fatale con una mortalità al 90%.
Le donne incinte devono essere incluse prioritariamente all’interno dei piani pandemici in caso di contagio tra gli esseri umani.
I ricercatori del Murdoch Children’s Research Institute di Melbourne, in Australia, hanno realizzato una metanalisi che si è soffermata ad analizzare 1500 articoli scientifici per un totale di 30 madri contagiate in gravidanza, 27 delle quali sono decedute. Il tasso di mortalità del 90% avverte che l’obbligo è quello di fare maggiore attenzione nei confronti di soggetti fragili.
Giovanni Di Perri, direttore dell’Amedeo di Savoia, specifica a Notizie.com i motivi per cui c’è questo aumento del tasso di mortalità: “Le donne incinte hanno sempre fatto parte dei gruppi a rischio in qualsiasi evento di questo tipo. Se prendiamo tutta la casistica umana la mortalità varia dal 10 a oltre il 50%, è estremamente alta comunque. La gravidanza è una forma di immunodepressione transitoria. Sono diverse le infezioni che se contratte in gravidanza possono assurgere a livelli di gravità più importanti di quelli di norma”. Attenzione però perché anche gli uomini non sono esenti dal contagio.
L’incubo AH 5N1
Le donne incinta vengono considerate soggetti più fragili all’aviaria proprio per questo stato di immunodepressione provvisoria, nonostante questo anche la popolazione maschile deve ben guardarsi da questo virus anche perché maggiormente esposto per motivi puramente pratici. Di Perri spiega: “H 5N1 è l’incubo di noi infettivologi da diversi anni. Nessun sistema immunitario è pronto e l’umanità non l’ha praticamente mai incontrato. Si parla di poco più di 200 contagi nella storia dell’umanità, solitamente costituito da allevatori del pollame che la contraggono ma non la trasmettono. L’umanità è stata salvata dal fatto che il virus passa dai polli all’uomo coinvolti intensamente, ma non tra esseri umani“.
Proprio questo è stato il motivo per cui al momento l’umanità non ha pagato pesantemente dazio e anzi ha superato sempre il momento del contagio. Nonostante questo c’è grande preoccupazione, ci spiega Di Perri perché: “L’incubo è legato al fatto che il virus possa acquisire, attraverso un rimescolamento genetico, la capacità di essere trasmesso a livello inter umano. La situazione non è statica, negli ultimi due anni la malattia ha acquisito, e non ce l’aveva, la possibilità di infettare i bovini. Il salto di specie l’ha già fatto. Bisogna sperare che il virus mantenga questa mancata capacità di trasmissione inter-umana”.
Ma cosa può fare l’uomo per contribuire a salvarsi da questa situazione? In realtà i mezzi a nostra disposizione sono davvero molto esigui: “Non si può fare molto, salve controllare gli allevamenti e fare la sorveglianza sugli uccelli migratori che in Italia viene fatta piuttosto bene. Inoltre si sta lavorando a un vaccino con la stessa tecnologia rna messaggero dei vaccini Covid. Se dovesse partire un discorso di tipo pandemico a livello umano, la possibilità di svilupparlo in pochi mesi c’è”.
Sicuramente una delle domande che si fanno sempre più spesso le persone è legata al contagio con la carne che consumiamo tutti i giorni. “Il virus non si trasmette per via alimentare. Le feci fresche ed essiccate possono portare al contagio rapidamente. Ci vogliono contatti molto stretti per le deiezioni degli uccelli con circostanze che solitamente riguardano gli allevamenti, quindi in generale non dobbiamo temere”, conclude l’esperto.