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Cronaca

Il pizzo di Natale si paga in fattura, è la mafia 2.0: l’inchiesta della Direzione Investigativa Antimafia

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Francesco Ferrigno

Il pizzo di Natale e Capodanno, storicamente destinato dalle organizzazioni criminali al sostentamento dei propri affiliati finiti in carcere, ha subìto delle mutazioni.

Cambiamenti talvolta invisibili alle forze dell’ordine, mascherate da semplici beni o servizi venduti o richiesti. In realtà “imposti” ora da un clan di camorra, ora da una cosca di ‘ndrangheta.

Il pizzo di Natale si paga in fattura, è la mafia 2.0: l’inchiesta della Direzione Investigativa Antimafia (CARABINIERI FOTO) – Notizie.com

Il dettaglio è emerso con forza dall’ultima relazione semestrale della Direzione Investigativa Antimafia (Dia). Il fenomeno interessa non solo i territori di origine delle mafie, ma anche quelli al nord. Qui alcuni sodalizi sarebbero riusciti ad imporre pretese estorsive agli imprenditori senza ricorrere a minacce esplicite. E men che meno all’uso della violenza. Ma “suggerendo” modalità innovative per giustificare il pagamento del pizzo. Particolari richieste estorsive hanno riguardato, ad esempio, l’imposizione di pagamenti richiesti non a scadenza mensile, ma in un’unica soluzione nell’arco dell’anno.

Contratti di vigilanza, guardiania o altri servizi

In altri casi sono state avanzate pretese diverse dalle richieste di versamenti in denaro. Ma consistenti in imposizioni di assunzione di personale. Specie di contratti di vigilanza, guardiania o di altri servizi. Un’attività investigativa, condotta in Emilia Romagna ha mostrato come, dopo una fase cruenta, le consorterie mafiose avevano messo a segno estorsioni ai danni di imprenditori senza praticare atti di violenza o d’intimidazione. Ma proponendo una soluzione condivisa con reciproci vantaggi. Come l’attività di fatturazione per operazioni inesistenti.

Le vittime dovevano corrispondere in contanti somme di importo pari all’Iva calcolata in fattura che non venivano versate all’Erario, consentendo di conseguire un vantaggio fiscale e al contempo di occultare reale richiesta estorsiva di denaro. Il 10 luglio 2023, la polizia di stato di Palermo, al termine dell’operazione Resurrezione, ha scoperto che nell’ambito della riscossione dei proventi estorsivi versati da diversi commercianti, si rilasciavano fatture fittizie alle vittime del pizzo. Così da consentire alle stesse la detrazione dell’Iva e dunque un risparmio dei costi sostenuti. Allo scopo era stata aperta un’agenzia pubblicitaria.

L’imposizione di personale per pagare le estorsioni

Il 16 ottobre 2023 i carabinieri di Caltanissetta e di Enna, nell’ambito dell’operazione Stiela, hanno scoperto che alcuni imprenditori venivano sottoposti ad estorsione grazie ad una forte capacità di intimidazione. I sodali, per ottenere il pagamento del pizzo, avevano adottato alcune modalità che il giudice ha definito “raffinate”. Per alcuni casi veniva concesso di effettuare il pagamento in un’unica rata annuale, piuttosto che mensilmente.

L’imposizione di personale per pagare le estorsioni (CARABINIERI FOTO) – Notizie.com

In altre circostanze si ricorreva a forme estorsive meno visibili, come l’imposizione di assunzione di personale. In uno degli episodi estorsivi, la vittima concordava con gli estortori di simulare il pagamento di una fattura emessa da un imprenditore collegato al clan mafioso per giustificarne l’uscita di denaro dai conti della società.

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Francesco Ferrigno