Torture, sevizie, stupri: cosa accade a Evin, il carcere degli orrori dov’è reclusa Cecilia Sala

Evin: il carcere degli orrori iraniano dov’è reclusa Cecilia Sala. “È terribile. Amnesty lo tiene d’occhio da anni, noto per i casi di tortura nei confronti dei detenuti”.

Cecilia Sala sta bene. Lo ha confermato ieri, sabato 28 dicembre, il ministro degli Esteri Antonio Tajani che insieme alla Farnesina e a Palazzo Chigi sta seguendo la vicenda. Ma questo non basta a preoccupare di meno l’opinione pubblica e i familiari della giornalista ventinovenne che si trova reclusa nel pericoloso carcere iraniano, lo stesso in cui era stata imprigionata per 45 giorni la travel blogger italiana Alessia Piperno nel 2022.

Una foto in primo piano di Cecilia Sala, la giornalista italiana arrestata in Iran
Torture, sevizie, stupri: cosa accade a Evin, il carcere degli orrori dov’è reclusa Cecilia Sala (Ansa Foto) – notizie.com

A pochi giorni dalla notizia del suo arresto per il quale non sono ancora state formalizzate accuse, gli Stati Uniti, contattati da La Repubblica, sono intervenuti per tramite di un portavoce del Dipartimento di Stato americano, ammettendo quello che da giorni tutti i media, noi inclusi, stanno affermando: l’arresto di Cecilia Sala può essere collegato a quello di Mohammed Abedini in Italia, su ordine degli Usa.

L’imprenditore svizzero-iraniano è stato arrestato dagli agenti antiterrorismo della Digos di Milano all’aeroporto di Malpensa, mentre tornava dalla Turchia. È accusato di aver fornito componenti elettroniche, tramite le sue società, alle Guardie rivoluzionarie iraniane.

In particolare avrebbe aver fornito materiale per costruire droni impiegati nell’aviazione dei Pasdaran. Alcuni di essi sarebbero stati impiegati nell’attacco del 28 gennaio in Giordania, delle milizie sciite vicine al regime, nel quale sono morti tre soldati americani e altri quaranta sono rimasti feriti.

Dipartimento di Stato Usa: “Rilasciare tutti i prigionieri in Iran”

Siamo a conoscenza della denuncia di arresto in Iran della giornalista italiana Cecilia Sala“, ha dichiarato a La Repubblica il portavoce del Dipartimento di Stato americano. “Questo arresto arriva dopo quello di un cittadino in Italia il 16 dicembre per contrabbando di componenti di droni. Chiediamo ancora una volta il rilascio immediato e incondizionato di tutti i prigionieri arbitrariamente detenuti in Iran senza giusta causa”. 

La vicenda di Cecilia Sala somiglia più a un rapimento che a un arresto vero e proprio. Si fa sempre più spazio l’ipotesi che la giornalista di Chora Media e Il Foglio sia stata imprigionata con l’intento di “utilizzarla” come mezzo di scambio per ottenere indietro Abedini, per il quale gli Usa hanno chiesto formalmente l’estradizione. Un mezzo, quindi: “Il regime iraniano continua a detenere ingiustamente i cittadini di molti altri Paesi, spesso per utilizzarli come leva politica”, conferma il Dipartimento Usa.

I giorni passano e lei rimane reclusa nel carcere di Evin, mentre la diplomazia è al lavoro per farla tornare nel suo Paese. Dove sarebbe già dovuta essere, ma non ha fatto in tempo a tornare. Il volo per Roma era previsto per il 20 dicembre, ma le guardie iraniane l’hanno arrestata il 19.

Cecilia Sala si trovava in Iran con regolare permesso giornalistico ottenuto dall’Ambasciata. Doveva registrare tre puntate del podcast quotidiano Stories per Chora Media. Era partita il 12 dicembre con un volo dalla Capitale.

Devono formalizzare l’accusa. Se non sappiamo di cosa è accusata non si può fare neanche una previsione concreta” per il suo rilascio. Lo ha dichiarato il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli, intervistato da La Repubblica. I tempi non saranno “rapidissimi, ma ragionevoli”. 

Anche se capo della Farnesina Antonio Tajani ha tranquillizzato sulle condizioni di salute di Cecilia Sala, chi conosce il carcere di Evin resta ugualmente preoccupato. In queste ore si trova in una cella da sola, con una luce perennemente accesa, senza poter distinguere il giorno dalla notte.

Il racconto del regista Kamkari: “Avevo 16 anni. A Evin mi sottoposero alla tortura del pollo arrosto”

Mi trovarono con un libro di Gramsci in tasca e per punizione mi spedirono nella sezione adulti”, del carcere di Evin. Il racconto è di Fariborz Kamkari, regista, sceneggiatore e scrittore iraniano-italiano che a sedici anni rimase recluso per sei mesi lì. Finire nella sezione degli adulti fu “una fortuna, perché in quello minorile si veniva stuprati nelle prime ventiquattr’ore”, ha raccontato in un’intervista al QN.

L’artista ha parlato di torture medievali: “In base a cosa vogliono da te si va dalle sevizie fisiche alla somministrazione di droghe per farti dire cosa vogliono sentire”. Kamkari ha raccontato di essere stato sottoposto alla tortura del pollo arrosto: “Nudo, legato mani e piedi a un palo, sospeso in aria e frustato”. Si è salvato perché i genitori “pagarono un giudice corrotto perché dicesse che la mia colpa non era possedere un libro, ma una pistola. All’epoca c’era l’amnistia per chi deteneva armi illegali e mi sono salvato”.

Del carcere di Evin ha parlato anche Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International in un’intervista a Radio Cusano Campus, nella trasmissione Greenwich. “È una prigione terribile che Amnesty tiene d’occhio da anni, nota per i casi di tortura nei confronti dei detenuti”. 

Sit-in sotto la prefettura di Torino per Cecilia Sala
Il racconto del regista Kamkari: “Avevo 16 anni. A Evin mi sottoposero alla tortura del pollo arrosto” (Ansa Foto) – notizie.com

Da Evin è uscita recentemente per un permesso medico Narges Mohammadi, premio Nobel. “Evin si è riempito di persone arrestate durante le manifestazioni del movimento Donna, Vita, Libertà. Finire in quel carcere non tranquillizza, poiché è il luogo dove vengono portate persone accusate di reati gravi, anche se nel caso della giornalista italiana Cecilia Sala non è ancora stata formulata alcuna accusa ufficiale”.

Violenze psicologiche, isolamento e sorveglianza continua, sono altre pratiche usate nel carcere degli orrori di Evin. Per Noury bisogna fare presto: “Convocare l’ambasciatore iraniano a Roma“, e ancora: “Serve un dialogo fermo e trasparente. Non possiamo accettare che Cecilia diventi una pedina di scambio, come si vocifera possa accadere con il caso di un soggetto arrestato a Malpensa e richiesto dagli Stati Uniti. Questa logica di trattativa trasformerebbe una questione diplomatica in un negoziato, qualcosa che dovrebbe far riflettere e indignare”.

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