Facebook, la nuova mossa coglie di sorpresa: una minoranza potrà essere definita “mentalmente instabile” senza subire provvedimenti.
In un mondo digitale in continua evoluzione, le piattaforme social giocano un ruolo cruciale nel modellare il dibattito pubblico e la libertà di espressione. Facebook, ora sotto l’egida di Meta, ha recentemente annunciato una serie di modifiche alle sue linee guida che hanno scatenato un’ondata di polemiche e discussioni. Queste nuove politiche sembrano rappresentare una svolta radicale nella gestione dei contenuti sulla piattaforma, con implicazioni significative per gli utenti e la società nel suo complesso.
La modifica più controversa riguarda la possibilità per gli utenti di definire una persona “mentalmente instabile” basandosi sulla sua sessualità o identità di genere. Questo aggiornamento delle linee guida mantiene il divieto generale di insultare le persone in relazione alla salute mentale ma introduce un’eccezione specifica legata al genere o all’orientamento sessuale. Il testo ora afferma che sono consentite accuse di malattia mentale o anormalità quando queste sono basate su genere o orientamento sessuale, citando il dibattito politico e religioso su transgenderismo e omosessualità.
Questi cambiamenti arrivano in un momento in cui Meta sta rivedendo radicalmente il suo approccio alla moderazione dei contenuti sulle sue piattaforme. Mark Zuckerberg, CEO dell’azienda, ha annunciato la rimozione dei fact-checker indipendenti a favore delle “community notes“, simili a quelle presenti sulla piattaforma X (precedentemente nota come Twitter). Secondo Zuckerberg, queste modifiche riflettono le recenti elezioni e segnano un punto di svolta culturale che ripristina la priorità alla libertà di espressione.
Parallelamente a questi cambiamenti sul fronte della moderazione dei contenuti, Meta ha eliminato i divieti relativi agli insulti sull’aspetto fisico legati a vari fattori come razza, etnia, origine nazionale e altri. Inoltre non sono più proibite espressioni d’odio contro persone o gruppi basate sulla loro appartenenza a categorie protette.
Le reazioni alle nuove politiche non si sono fatte attendere. Sarah Kate Ellis, presidente dell’organizzazione GLAAD che difende i diritti LGBTQ+, ha criticato aspramente Meta per aver autorizzato gli utenti a colpire con violenza verbale persone LGBTQ+, donne immigrati ed altri gruppi emarginati attraverso narrazioni disumanizzanti.
Meta ha risposto alle critiche sostenendo che le sue piattaforme mirano ad essere spazi dove le persone possono esprimersi liberamente; tuttavia questa visione della libertà d’espressione solleva preoccupazioni significative riguardo al potenziale aumento del discorso d’odio online.
Questo cambio radicale nelle policy rappresenta una sfida importante per Meta: da un lato c’è l’intento dichiarato di promuovere la libertà d’espressione; dall’altro si rischia però di creare ambienti meno sicuri per gli utenti più vulnerabili della rete. La decisione dell’azienda sembra avvicinarla alla filosofia meno restrittiva della piattaforma X ma solleva interrogativi fondamentali sul futuro del discorso pubblico online e sui limiti tra libertà d’espressione ed etica digitale.
Mentre alcuni osservatori vedono in questi cambiamenti una concessione alla cultura populista dominante nell’era digitale attuale; altri temono che possano portare ad una polarizzazione ancora maggiore all’interno delle comunità online. La direzione intrapresa da Meta sarà determinante non solo per il futuro della propria piattaforma ma anche per quello del panorama mediatico globale nel suo complesso.