“La sentenza è stata descritta come se si parlasse de La Guerra dei Roses. Utilizzare vessazioni reciproche è assolutamente ingiustificabile”.
Non smette di far discutere l’intero Paese il caso della sentenza della Corte d’assise di Modena riguardante il processo di Salvatore Montefusco. Si tratta dell’uomo che a giugno del 2022 ha imbracciato un fucile e ucciso la moglie Gabriella Trandafir e la figliastra Renata.
Il 9 ottobre 2024 Montefusco è stato condannato a 30 anni di carcere contro la richiesta dell’ergastolo che era stata sollecitata dalla pubblica accusa. La motivazione, riportata in 213 pagine, sta facendo discutere il mondo politico e le associazioni a contro la violenza alle donne. I giudici hanno parlato di un “blackout emozionale” e di “motivi umanamente comprensibili”. Dunque: niente ergastolo nonostante il duplice femminicidio.
“Bisognerà anche vedere se saranno effettivamente 30 gli anni che sconterà. Se c’è stata questa ‘leggerezza’ da parte della Corte d’assise chissà quanti anni saranno funzionali. Il bilanciamento tra le attenuanti generiche e le aggravanti lasciano più di una perplessità”. A parlare in esclusiva per Notizie.com è Flavia Munafò, direttrice dello sportello di ascolto e prevenzione Socio Donna a Roma e presidente di Sia (Sociologi italiani associati).
“L’aggravante di aver commesso il fatto davanti al figlio è un dato importante ma non sufficiente. – ha continuato Munafò – Nella decisione dei giudici mancano i motivi abietti e futili. Le vessazioni reciproche non possono giustificare o alleggerire il reato. Ciò è fantascientifico. Tirare in ballo il blackout emozionale e la comprensibilità umana dei motivi che hanno spinto l’autore a commettere il reato è intollerabile”.
Sempre in queste ore Elena Trandafir, sorella e zia di Gabriela Trandafir e Renata, ha detto che le vittime sono state uccise una seconda volta con questa sentenza. Ha parlato di motivazioni offensive, che “hanno tolto l’ergastolo a lui per darlo a noi” e che si tratta di “una nuova profonda ferita”.
“Siamo difronte ad una situazione per la quale erano state presentate 13 denunce. – ha spiegato la sociologa – Non un delitto improvviso, non un raptus. Non si può alleggerire la pena perché parliamo della figlia di lei. Né ragionale sulla conflittualità familiare con così poca leggerezza. Non si può pensare che si possa sfocare in in un duplice omicidio senza i giusti pesi al reato commesso. Mi viene in mente Olga Mattei del 2016 per cui la pena è dimezzata per gelosia”.
In quel caso la Corte d’appello di Bologna ha ridotto la pena all’assassino di Olga, Michele Castaldo, a causa di una “soverchiante tempesta emotiva e passionale”. Intanto i parlamentari del Partito democratico della Commissione bicamerale femminicidio hanno annunciato un approfondimento sul caso “con tutti i poteri che propri” della stessa Commissione.
“Non c’è giustificazione per reati di questo peso. – ha concluso Flavia Munafò – Se è vero come è vero che agli atti ci sono 13 denunce, parliamo di un excursus di violenza e di aria violenta a casa. È per questo che invito sempre ad affidarsi a sportelli specializzati che riescano a seguire tutti gli iter e che sappiano identificare gli elementi di pericolo”.