Un simbolo della cucina italiana nel mondo. Non a caso il suo nome è praticamente identico in quasi tutte le lingue (persino il tedesco o il finlandese). Stiamo parlando, chiaramente, della pizza.
Nata a Napoli in un imprecisato giorno del Sedicesimo secolo, seppur con caratteristiche diverse da quella che conosciamo oggi, la pizza si è nel tempo guadagnata cuore e palato di miliardi di consumatori in ogni angolo del globo. Non sorprende, quindi, che esista un World Pizza Day: la Giornata Internazionale della Pizza.
A sorprendere, anzi, è forse il fatto che sia nata solo in tempi recentissimi. Correva l’anno 2017. La pizza – o meglio – l’arte del pizzaiolo napoletano viene inserita dall’Unesco nella lista dei Patrimoni Immateriali dell’Umanità. Fu così che, l’anno dopo, l’Associazione Verace Pizza Napoletana (Avpn) decide di istituire ufficialmente questa giornata tutta dedicata all’arte bianca e ai pizzaioli che la rinnovano giorno dopo giorno. Giorno prescelto: il 17 gennaio. Data che non è stata scelta tirando a sorte sul calendario.
Proprio il 17 gennaio, infatti, ricorre la festività di Sant’Antonio Abate. Patrono della civiltà contadina e degli animali, è figura del cristianesimo particolarmente legata al fuoco. Si narra, infatti, che fu lui a contendere al diavolo le anime dei dannati, cercando di sottrarle al fuoco della dannazione eterna. È così che Sant’Antonio Abate diventa anche protettore di tutti quei mestieri che hanno a che fare col fuoco: vigili del fuoco, fornai e – ovviamente – i pizzaioli. Proprio questi ultimi, a Napoli, erano soliti dedicarsi mezza giornata festiva, sempre il 17 gennaio, per riunirsi intorno a un fuoco e condividere le loro pizze, tutti seduti attorno a un grande fuoco. Una sorta di rito propiziatorio per l’anno che stava ormai entrando nel vivo.
Ecco perché proprio oggi abbiamo deciso di dedicare un approfondimento alla pizza. Non solo napoletana. La proposta è infatti quella di un confronto: la tradizione partenopea che incontra quella romana. Due tipologie, due stili, potremmo dire due filosofie del tutto diverse. Spesso contrapposte nel segno delle due fazioni: “La pizza napoletana è tutta un’altra storia”, dicono dal capoluogo partenopeo; “quella romana è molto più digeribile”, rispondono dalla Capitale. Ebbene: vi presentiamo questi due stili senza la pretesa di stabilire quale sia il migliore. Tradizioni diverse che riflettono gusti differenti.
Pizza napoletana e pizza romana: cornicione o scrocchiarella?
A Napoli, l’arte dei pizzaioli (o pizzajuoli, mutuando il dialetto partenopeo antico) si esprime partendo da un impasto che presenta caratteristiche specifiche: una certa percentuale di idratazione; un peso del panetto che supera i 200 grammi; una modalità di stesura della pasta che passa per la tecnica dello “schiaffo”, con il pizzaiolo che opera con movimenti rapidi e decisi delle mani; una cottura, infine, che è estremamente rapida: massimo 90 secondi, come da disciplinare stabilito dall’Associazione Verace Pizza Napoletana. Uno shock termico che determina un amalgama perfetto degli ingredienti.
Nella pizza romana le differenze non sono solo estetiche: partono, come dicevamo, dall’origine. Da un impasto che viene diviso, in genere, in panetti che non superano i 180 grammi; una stesura che avviene a mattarello o a mano, in ogni caso stendendo una pasta molto più sottile rispetto a quella napoletana; una cottura in forno che può raggiungere anche i 3 minuti/3 minuti e mezzo, quindi più prolungata rispetto alla “cugina” partenopea”. Il risultato che abbiamo nel piatto è quello di una pasta che resta sicuramente fragrante ma che si mostra maggiormente croccante. “Scrocchiarella”, come sono soliti affermare nella Capitale. Sia come sia, una caratteristica accomuna certamente queste due tradizioni (a parte l’indubbia bontà): la pizza resta un alimento popolare che va rigorosamente mangiata con le mani!