Sale il tasso nazionale di donazioni in Italia con 30,2 donatori per milioni di persone. Il divario tra nord e sud preoccupa, ma è solo il consenso il problema?
Se si fanno più trapianti nel Settentrione è per vari motivi e non solo per il consenso, anche se questo rimane un problema centrale. Rocco Bellantone, presidente Iss, ha specificato che la priorità assoluta è ridurre il numero delle opposizioni a donazione organi e che sono state realizzate delle campagne a livello scolastico. Il presidente del Sito (Società italiana trapianti d’organo), il professor Luciano De Carlis, non è però d’accordo in toto con queste parole.
Lo specialista del Niguarda ha parlato a Notizie.com specificando: “Per me non è il fattore che incide di più, quanto quello dell’organizzazione“. Nonostante questo anche lui è convinto che si debba intervenire in tal senso come Bellantone.
“Certo che se togliamo anche questa percentuale di opposizione abbiamo un grossissimo vantaggio. Quello che si può fare è anche incrementare la fiducia nella gente della donazione di organi. Forse però ci vorrebbe maggiore formazione nelle persone che lo chiede, spesso capita in un ufficio postale dove si fa la carta d’identità. È una domanda importante, imbarazzante, a una persona non preparata. Campagne di sensibilizzazione verso la gente possono essere molto importanti”, aggiunge.
Come funziona la donazione d’organi in Italia?
Il professor Luciano De Carlis ha parlato della situazione trapianti nel nostro Paese, andando ad approfondire anche quello che è un dato storico e cioè la differente donazione rispetto alla sede geografica. Ma qual è il motivo? “È vero che la sud c’è una maggiore frequenza di opposizione, ma non è significativa. La differenza sta nell’organizzazione sanitaria che porta alla donazione”, spiega.
Passa poi a parlare di cosa è necessario in una struttura per effettuare un trapianto: “Si tratta di un processo complesso dal punto di vista sanitario, necessita dell’accertamento della morte. C’è bisogno di una struttura di rianimazione complessa e strutturata, di collegi e collegali, fisiologici che determinino morte cerebrale. Oggi c’è anche la donazione a cuore fermo, che è una procedura più complessa. Le strutture che sono in grado di fare questa attività sono meno al sud dove la sanità ha maggiori problemi di tipo organizzativo e finanziamenti, c’è meno personale”.
Nonostante questo c’è un certo ottimismo verso il futuro. “Questo ha portato a una differenza storica, anche se sta cambiando la situazione. Oggi la Sicilia, che era una regione con una tradizione di donazione contenuta, ha avuto un incremento incredibile. Molte regioni del sud stanno crescendo e la situazione sta migliorando”, specifica.
L’Italia non può lamentarsi, la situazione è molto più positiva di quanto si possa pensare: “Oggi siamo secondi solo alla Spagna come attività di donazione, sopra la Francia e la Germania. Possiamo migliorare, ma non ci dobbiamo lamentare. Sicuramente il vantaggio è stato quello del donatore a cuore fermo che non facevamo prima del 2015 e siamo stati i primi al Niguarda a farlo ed è una quota di donazione che sta arrivando al 20%”.