“Infermieri e Oss sono i soggetti più bersagliati, in particolare le donne. È un dato incontrovertibile, ci si approfitta di alcune situazioni. Perché non si fanno atti di violenza in una palestra dove si fanno arti marziali?”.
L’escalation di violenze contro il personale sanitario non accenna a diminuire in Italia. Abbiamo analizzato la situazione insieme al dottor Giovanni Leoni, vicepresidente nazionale Fnomceo, la Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri.
“Le persone che lavorano come medici, infermieri o Oss in ospedale, – ha spiegato Leoni in esclusiva a Notizie.com – hanno scelto di svolgere una professione che aiuta il prossimo, così come i vigili del fuoco o gli appartenenti alle forze dell’ordine. È prima di tutto una predisposizione d’animo. Ciò li porta a fare lavori che possono essere anche rischiosi, si pensi al Soccorso alpino in elicottero ad esempio”.
Uno degli ultimi casi di aggressione è avvenuto nelle corse ore a Taranto, in Puglia. All’interno dell’ospedale Moscati 3 infermiere sono state aggredite da un paziente ricoverato nel reparto di Otorinolaringoiatria che era in stato di alterazione psico-fisica. Le tre operatrici sono state colpite con pugni e calci, riportando contusioni.
“Gli operatori sanitari – ha continuato Leoni – spesso si trovano a confrontarsi con soggetti che possono essere divisi in 3 categorie. La prima riguarda il violento comune, un soggetto che non rispetta le regole e ciò lo manifesta a scuola, al bar, allo stadio. E anche al pronto soccorso. In questi casi non c’è altro da fare che procede all’identificazione, riuscire ad ottenere la certezza della pena e comminare anche una sanzione pecuniaria, che fa sempre male. Un esempio è ciò sta avvenendo in queste settimane con il nuovo Codice della Strada”.
Secondo il vicepresidente Fnomceo la seconda categoria di persone comprende i soggetti psichiatrici, che dovrebbero essere seguiti dai servizi territoriali anche in termini di aderenza terapeutica. “Solo in questo modo – ha detto Leoni – non ci si troverebbe difronte a soggetti in grado di mettere in crisi tutto un pronto soccorso. Immobilizzare qualcuno contro la propria volontà non è un momento semplice. Spesso avviene con le buone ma da lì possono anche cominciare alterchi”.
Infine, le persone che, pur non appartenendo alle prime due categorie, invece di protestare normalmente urlano, inveiscono e danneggiano le strutture. I motivi possono essere i più disparati, dalle lunghe attese ai momenti di tensione per un familiare ricoverato in gravi condizioni. “Anche i vigilantes – ha dichiarato il vicepresidente – hanno possibilità limitate, pur rappresentando già di per sé un elemento di deterrenza. Va quindi chiamata la forza pubblica. Ci servirebbero bodycam per registrare ciò che accade e ciò che si dice, elementi che potrebbero poi essere utilizzati anche in Tribunale. Consideriamo che c’è anche la possibilità di arresti in differita, come avviene per la violenza negli stadi”.
La problematica della violenza negli ospedali coinvolgerebbe, inoltre, non solo gli operatori presi di mira. “I medici sono lì per curare le persone. Il pronto soccorso è un ambiente di fragili. – ha affermato Leoni – Quando ci si mette a urlare si mette tutti in stato d’angoscia. Quando l’attesa è prolungata serve fare informazione, realizzare ancor più punti di ascolto fissi. Chiediamo un investimento sulla videosorveglianza, fissa e mobile, più vigilantes e bodycam, anche per il 118, che abbia la possibilità di registrare quanto avviene fuori. Si potrebbero usare anche i fondi Pnrr che hanno una voce specifica per l’aggiornamento tecnologico”.
Al termine dell’analisi, non possiamo non chiederci paradossalmente da dove tutto è cominciato. “Siamo passati da un momento Covid in cui erano spariti i codici bianchi – ha concluso il vicepresidente Fnomceo – ad una situazione in cui si è ripopolato il pronto soccorso come soluzione universale ai problemi. L’aumento delle liste d’attesa intasano i pronti soccorso, così come la carenza dei medici di medicina generale, che hanno anche le loro problematiche per regolare l’accesso nei loro studi”.