Una storia poco nota, ancora oggi. A ottant’anni dalla liberazione del campo di concentramento di Auschwitz, avvenuta il 27 gennaio 1945.
Parliamo di quella degli italiani rinchiusi in quegli stessi campi. Di diversa estrazione sociale, religiosa, politica. Rinchiusi, per l’appunto, nei campi di sterminio perché oppositori del regime nazi-fascista. Oppure perché, semplicemente, “non graditi”.
Una storia che ci aiuta a ricostruire Dario Venegoni, presidente dell’Aned: Associazione Nazionale ex Deportati nei campi nazisti. Venegoni è scrittore e giornalista, figlio di Carlo Venegoni e Ada Bufalini: deportati politici nel campo di concentramento nazifascista di Bolzano. Ed è proprio sul punto dei deportati politici che ci aiuta a fare chiarezza. Andiamo con ordine.
“Alla fine della guerra erano stati deportati quasi un milione di italiani”, afferma Venegoni ai microfoni di notizie.com. Precisando poi ancor meglio il dato: “C’erano 650mila prigionieri militari; circa 250mila lavoratori che erano andati anche volontariamente ma che poi furono trasformati in lavoratori “coatti”, praticamente in schiavi; e poi, circa 40mila deportati nei campi delle SS. Quelli di cui si parla maggiormente”.
Quanti e quali erano gli italiani rinchiusi nei campi?
C’è da fare un ulteriore distinguo: “Di questi 40mila – continua Venegoni – circa 8mila erano ebrei. Gli altri erano quasi tutti attivi nella Resistenza come oppositori politici, dai grandi intellettuali agli analfabeti”. Questo il punto principale richiamato da Venegoni: in Italia, secondi i dati raccolti dall’Aned, una buona (e dimenticata) parte di italiani rinchiusi nei campi di concentramento faceva parte della schiera di chi aveva deciso di opporsi, a rischio della propria vita, al regime nazi-fascista.
La maggior parte di loro fu rinchiusa nel campo di concentramento di Mauthausen, “cosi come gran parte degli ebrei fu rinchiusa ad Auschwitz”, precisa Venegoni. “La maggior parte di loro fu uccisa in pochi mesi”. Un ricordo che oggi si sta offuscando. Soprattutto perché “chi aveva 20 anni allora oggi ne avrebbe 100”.
I testimoni di questo orrore, al giorno d’oggi, “sono circa una decina”, rileva ancora il presidente ANED. Una memoria che si rischia di perdere, perdendo al contempo i testimoni? “Lo ha detto anche Liliana Segre – risponde Venegoni – e purtroppo sono convinto che lei abbia ragione. C’è una memoria molto incentrata sulle ‘personalità’, di coloro che sono stati appunto testimoni”.
“Se non ci sono più loro, la memoria è a rischio di disperdersi“. Venegoni torna poi sulla questione dei deportati politici: “In tal caso, questa cancellazione è già avvenuta. È un buco nero della cultura italiana. Abbiamo dimenticato decine di migliaia di persone”.
Il presidente ANED commenta poi un ultimo (e per certi versi inquietante) dato: secondo l’ultimo “Rapporto Italia” stilato dall’istituto di ricerca Eurispes, il 16,1 percento degli intervistati ritiene “esagerato” il numero delle vittime nei campi di sterminio. Un italiano su sei, in pratica, pensa che tali numeri siano gonfiati. In alcuni casi, addirittura inventati.
“A me dispiace per questi italiani immemori – conclude Venegoni – noi siamo pronti a superare qualunque esame. Uno per uno, possiamo elencare tutti i prigionieri di cui abbiamo parlato. Di tutti coloro che sono stati spediti a morire nelle camere a gas”. Questo negazionismo a cosa è dovuto? “Da una posizione politica. Da chi fatica a confrontarsi col fatto che questi regimi hanno sterminato tante persone”.