A Gaza, così come nei territori della Cisgiordania, “c’è un disperato bisogno di aiuto”. La tregua tra Israele e Hamas non ha magicamente posto fine a tutti i problemi della zona.
Il primo dato, così come rilevato dall’organizzazione internazionale ActionAid, è che le violenze sono tutt’altro che finite. Si è solo spostato il focus, dalla Striscia di Gaza ai territori occupati della Cisgiordania.
È a pochi giorni fa, il 24 gennaio, che risalgono numerosi raid dell’esercito israeliano sulla Cisgiordania. In particolare, sul campo profughi di Jenin. Dove – secondo i dati forniti da ActionAid e ricavati dal ministero della Salute palestinese – “almeno 12 persone sono state uccise e almeno altre 50 ferite”. Centinaia i residenti del campo profughi che sono stati costretti a fuggire, mentre gli ospedali sono stati messi sotto assedio e case e strade totalmente demolite.
A Gaza, invece, dopo il cessate il fuoco la situazione è “ambivalente”. Da un lato, la felicità per la fine dei bombardamenti. Dall’altro, “il fatto che manchi tutto: cibo, acqua, assistenza medica”, dice in esclusiva a notizie.com Riham Jafari, coordinatrice per la comunicazione di ActionAid Palestina. Una testimonianza che giunge direttamente dal posto, tra strade ormai impraticabili, edifici demoliti e ospedali presi d’assedio dalla popolazione.
La situazione è quindi tutt’altro che normalizzata. Nell’ospedale Al-Awda, a Gaza, il dottor Mohammed Salha riferisce che “sono arrivati più di 100 feriti e oltre 25 corpi sono stati tirati fuori dalle macerie delle loro case e dalle strade”. E centinaia di corpi sono ancora da identificare. “Alcune delle famiglie – continua il dottore in un comunicato diffuso da ActionAid – hanno portato le spoglie dei loro familiari qui”.
“Il viaggio più duro per i palestinesi comincia ora – riferisce Jafari a notizie.com – quando appunto cominceranno a scavare con le loro mani sotto le macerie alla ricerca dei propri cari”. Una situazione a dir poco drammatica; una tragedia umanitaria che è sintetizzabile nella voce di Jafari, rotta dal pianto: “Gaza ha bisogno di tutto”.
“Cibo, acqua, medicine, carburante, ripari, materiali per la ricostruzione e altri beni essenziali devono essere ammessi a Gaza immediatamente”, avverte Jafari. Il cessate il fuoco è ben lontano dal segnare la fine di questa crisi umanitaria. “Segna invece l’inizio di un nuovo capitolo in cui ogni singolo palestinese a Gaza si trova ad affrontare il difficile compito di accettare le perdite e la devastazione che 15 mesi di brutalità hanno causato nelle loro vite”.
È questo, conclude Jafari, “che deve essere il primo passo verso un cessate il fuoco permanente e duraturo a Gaza”. I prossimi giorni saranno quindi decisivi per capire quale percorso prenderà la tregua annunciata da Israele, e proseguita – a livello politico – con la consegna da parte di Hamas di alcuni ostaggi rapiti il 7 ottobre.