Tra le scorie che la pandemia da Covid ha lasciato non ci sono le immancabili polemiche sui vaccini, ma anche condizioni sociali delicate come quella dei cosiddetti hikikomori.
Sebbene questo termine trovi radici in tempi precedenti ai lockdown, con le chiusure il fenomeno si è radicato in moltissimi giovani anche dopo la riapertura totale. Si tratta di una volontaria esclusione sociale che parte dalla ribellione della gioventù giapponese alla cultura tradizionale di un Paese rigido. In occidente ha abbracciato un significato affine ma non sempre legato a imposizioni familiari.
Uno studio del Centro nazionale dipendenza e doping dell’Iss (l’Istituto Superiore di Sanità) lo scorso aprile ha svelato che nel nostro Paese ci sono 66mila hikokomori, con un picco tra i ragazzi tra gli 11 e i 13 anni. Numeri che ovviamente spaventano gli esperti e che creano allarme anche 5 anni dopo lo scoppio della pandemia da coronavirus. Approfondendo l’argomento, possiamo cercare di capire meglio quali sono i motivi che spingono i giovani a questa “reclusione volontaria”.
Chiara Santioni, terapista comportamentale ed ex hikikomori, ha parlato a Notizie.com raccontando la sua storia: “Mi sono isolata perché nel mondo reale non stavo bene, non mi ci trovavo. Si tratta di una condizione di malessere, non è la passione dei videogiochi che ben venga invece. Il problema è quando l’unica cosa che fai è quella, se non esci mai. Per un anno quasi nemmeno mi facevo la doccia per quanto ero assorbita da questo mondo, isolata da quello reale. Avevo un’amica che quando mi veniva a trovare le parlavo del gioco. Tanti associano gli hikikomori a un ragazzo che gioca tanto. Non è una demonizzazione dei videogiochi, ma una condizione di sofferenza di fondo“.
Una storia che oggi ha superato e che analizza con grande lucidità. A 18 anni, molto tempo prima della pandemia, ha dovuto affrontare tale ostacolo. Oggi che ne ha 30 riflette proprio su uno dei periodi più bui del fenomeno: “Il Covid è stato tremendo per tantissime persone. Io l’ho passato a guardare serie tv in continuazione fino a notte fonda. Il lockdown è stato una sorta di giustificazione per questi atteggiamenti tanto da farli aumentare anche in chi precedentemente non provava queste sensazioni”.
Dopo 5 ani la situazione è molto differente, anche se qualche campanello d’allarme permane. “Solo adesso, dopo cinque anni dal lockdown, la situazione sta migliorando anche perché nei primi anni del post-Covid c’erano strascichi, timore, paura, zone rosse e quant’altro. Lavorando oggi come educatrice e terapista comportamentale vedo che c’è sempre questa difficoltà tra i ragazzi di comunicazione face to face, penso che però questo sia dovuto anche al metodo comunicativo del tempo che è virato molto sui social network e cambiato”, specifica.
Per concludere svela anche cosa fare per cercare di uscire a chi si trova oggi in una situazione di hikikomori: “Consiglio a chi si trova in questa situazione di cercare nelle proprie passioni qualcosa che permetta di uscire fuori di casa, a parlare con persone dal vivo e riuscire a uscire dalla comfort zone attraverso qualcosa di stimolante. In questo contesto non c’è giudizio, ma condivisione”.