La vicenda comincia lo scorso 20 novembre, quando la multinazionale turca di elettrodomestici presenta un piano industriale infarcito di tagli al personale.
Il marchio ex Whirlpool, rilevato dal gruppo turco Arcelik, presenta infatti – al Ministero delle Imprese e del Made in Italy – un piano che prevede la chiusura degli stabilimenti di Siena (dove si producono congelatori), di Comunanza (lavatrici), in provincia di Ascoli Piceno, e di Fabriano. Il tutto entro il 31 dicembre 2025.
Tradotto in numeri: quasi duemila licenziamenti. Parliamo di 1.935 esuberi a fronte di 4.400 dipendenti, quasi tutti operai. Oltre alle chiusure annunciate dal piano, si prevede anche un forte ridimensionamento dell’impianto produttivo di Cassinetta, in provincia di Varese. In quest’ultimo stabilimento, Beko annunciò di voler mantenere solo 3 linee produttive a fronte delle attuali 5. Con 541 operai che quindi rischiano il posto di lavoro.
A loro si aggiungono, inoltre, i 40 esuberi di Carinaro, in provincia di Caserta; i 198 dipendenti del reparto di ricerca e sviluppo, a Fabriano; 98 lavoratori del settore commerciale in tutta Italia, altri 363 nelle varie funzioni regionali. Oltre a coloro che lavorano negli impianti già ricordati, che rischiano la chiusura totale e la cessazione delle attività.
Un piano di progressiva dismissione che ha fin da subito allarmato i lavoratori. Prima ancora che la dirigenza di Beko presentasse al Mimit il nuovo piano industriale, i lavoratori di Beko Europe Siena sono scesi in strada il 18 novembre scorso bloccando le strade della città toscana. I sindacati, dalla Cgil alla Cisl, dalla Uil all’Uglm, parlano senza mezzi termini di “piano di saccheggio industriale”. Dichiarando così lo stato di mobilitazione in tutti gli stabilimenti.
I sindacati, per bocca della segretaria nazionale Fiom, Barbara Tibaldi, e del coordinatore nazionale elettrodomestico Fiom, Alberto Larghi, chiedevano “il ritiro immediato dei licenziamenti”. In caso contrario: “Non saremo disponibili a proseguire il confronto”. Chiedendo inoltre al governo di esercitare la Golden Power, ossia quello “scudo” che dà all’esecutivo il potere di proteggere gli asset strategici del Made in Italy, imponendo alle imprese determinate condizioni, anche bloccando operazioni previste dai piani industriali.
“La nostra prima reazione, a novembre scorso, fu di sconforto – spiega Daniela Miniero, segretaria Fiom-Cgil di Siena, a Notizie.com – dato che i lavoratori della Beko di Siena guardavano con speranza alla multinazionale. Tengo a ricordare che queste sono persone che vanno avanti da 15 anni con gli ammortizzatori sociali”.
Le cose non sono, insomma, andate come previsto: “A soli sette mesi da loro insediamento in azienda, avvenuto il 7 aprile – continua Miniero – Beko ha presentato il suo piano con quasi duemila esuberi e la chiusura totale di alcuni stabilimenti, compreso quello di Siena. Adesso, dopo le ultime notizie giunte dal tavolo ministeriale a Roma, siamo ancora più convinti di voler difendere i posti di lavoro”.
Alcuni spiragli per una trattativa tra azienda e sindacati si sono, infatti, aperti. Giovedì 30 gennaio, nella sede del Mimit a Roma, c’è stato il tavolo cui hanno partecipato anche l’impresa e i rappresentanti dei lavoratori. Beko Europe ha sostanzialmente preso tempo: i licenziamenti previsti al 31 dicembre 2025 sono stati “congelati”. Valutando, al contempo, possibili investimenti da 300 milioni di euro negli impianti produttivi italiani.
I sindacati hanno accolto con tiepida soddisfazione la notizia. L’aggiornamento del piano è “la condizione minima per avviare una trattativa”, così come spiegato dalla segretaria Fiom Tibaldi dopo il tavolo. “C’è un impegno del governo a sostenere un nuovo piano che non chiuda Siena e Comunanza”. Al contempo, gli impegni presi da Beko sono considerati però ancora “troppo vaghi”.
Certo, dopo il 30 gennaio non c’è più per i lavoratori quella “minaccia di un coltello alla gola”, come sottolineato dalla stessa Tibaldi. Il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha riferito che lo Stato ha intenzione di acquisire lo stabilimento di Siena; ma d’altro canto, secondo i sindacati, Beko “non ha precisato dove investiranno questi 300 milioni. Bisogna garantire le linee e i prodotti, questo per noi è il futuro”, conclude Tibaldi.
Mentre ieri giovedì 30 gennaio, si teneva il tavolo al Mimit, fuori la sede del Ministero erano presenti oltre 400 lavoratori giunti da tutti gli stabilimenti. Presente anche la segretaria del Pd, Elly Schlein, che ha commentato: “Chiediamo chiarezza sul piano industriale, investimenti e di cancellare i licenziamenti e gli esuberi. Anche quell’odiosa data di scadenza che hanno stampato sul petto di questi lavoratori“.
Fra loro anche quelli dello stabilimento di Comunanza, su cui – di fatto, nonostante i “congelamenti” – pende ancora il rischio di una chiusura definitiva. “Ricordiamo che c’è tutto un polo industriale che ruota intorno a quello stabilimento. Oltre ai lavoratori di Beko rischiano anche tutti quelli dell’indotto”. Lo afferma, a notizie.com, il deputato marchigiano del Partito Democratico, Augusto Curti.
“Nel tavolo del 30 gennaio l’azienda ha aperto per la prima volta a una possibilità di revisione del piano – continua Curti – ora però bisognerà capire che cosa intendono per revisione. Se il nuovo piano, ad esempio, prevederà solo un allungamento della cassa integrazione, è chiaro che parliamo di una cosa che non ci interessa. L’aspetto fondamentale è salvaguardare non solo i posti di lavoro ma anche la produzione”.
Ancora presto per cantar vittoria da parte degli operai. I primi spiragli si sono aperti “ma bisognerà aspettare il prossimo tavolo per capire quale sarà questa rimodulazione”, continua Curti. Prossimo tavolo che il ministro Urso annuncia per il 10 febbraio. I sindacati, come detto, lamentano a Beko una disponibilità ancora troppo generica. “Assolutamente generica, direi – sottolinea il deputato Pd – mentre sono stati molto chiari a novembre scorso quando si trattava di indicare gli stabilimenti che avrebbero chiuso entro dicembre 2025”.
Ad ogni modo, finché ci saranno tavoli di confronto al Ministero, l’azienda non avvierà le procedure di licenziamento. “Hanno detto di voler chiudere la vicenda nel minor tempo possibile, massimo in un mese – riferisce Curti – personalmente, mi pare difficile che si possa arrivare a un risultato in un solo mese. Certo, è anche vero che abbiamo dipendenti che vivono nell’incertezza del futuro: non possiamo continuare a farlo per un altro anno”.
Quali saranno, in definitiva, i prossimi passi? Anzitutto: il tavolo del 10 febbraio. “Inizieranno ora tre settimane di confronto nel merito con le parti”, ha detto il ministro Urso. L’obiettivo, stando sempre alle parole del ministro, è quello di “individuare le migliori soluzioni”. Dal canto suo, Beko ribadisce la volontà di investire in Italia circa 300 milioni, di cui un terzo in ricerca e sviluppo nello stabilimento di Fabriano.
Dalle prime indiscrezioni, trapela che il gruppo Arcelik potrebbe infine scongiurare la chiusura di Comunanza. Su Siena, invece, la situazione sembra più complicata anche per gli alti costi di fitto del sito. La multinazionale sembra intenzionata a rispettare la scadenza contrattuale fissata al 31 dicembre 2027. Beko potrebbe quindi rimanere sul territorio toscano per altri tre anni, a prescindere dallo stop alla produzione. Con i lavoratori che dovrebbero così contare (ancora una volta) solo sugli ammortizzatori sociali.
È per questo che il ministro Urso, come sottolineato, ha espresso la volontà dello Stato di acquistare il sito. Comune di Siena, Provincia e Regione Toscana si sarebbero dette pronte a procedere, aprendo una trattativa per raggiungere l’obiettivo. Il futuro dei lavoratori, insomma, è ancora sospeso in un ampio margine di indeterminatezza.