Di bullismo, in Italia, si parla spesso. Ancor di più della sua versione online: quel cyberbullismo che è ormai diventato una vera e propria piaga.
Basta un singolo dato, estrapolato dal Report OMS Europa del 2024, a fornire un quadro inquietante: nel corso dell’ultimo anno, ben il 15 percento degli adolescenti ha subito atti di cyberbullismo. Con un aumento, rispetto al 2018, dal 12 al 15 percento per i ragazzi; e dal 13 al 16 percento per le ragazze.
Internet ha insomma amplificato i confini del “tradizionale” bullismo. Ciò che prima si verificava tra i banchi di scuola o comunque “in presenza”, ora si allarga ai comportamenti in rete. Non è peraltro un mistero che l’utilizzo degli smartphone sia sempre più diffuso anche tra gli adolescenti, o addirittura tra i bambini.
Secondo i dati forniti dall’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, in Italia 8 bambini su 10, fra i tre i cinque anni, sanno utilizzare il cellulare dei genitori. Inoltre, sempre più larga è la fetta di adolescenti che usa lo smartphone dalle 3 alle 6 ore al giorno, arrivando a usarlo tranquillamente anche a scuola durante le ore di lezione.
Questo il contesto in cui si inserisce il libro di Paolo Siani “Cyberbullismo” (Giannini editore). Primario di pediatria all’ospedale Santobono di Napoli, ex parlamentare e vicepresidente della commissione bicamerale infanzia e adolescenza, fa oggi parte del consiglio direttivo della Fondazione dedicata a suo fratello Giancarlo, giornalista ucciso dalla camorra nel 1985. Ed è inoltre responsabile del tavolo infanzia al Comune di Napoli.
Abbiamo incontrato Siani alla libreria Feltrinelli di Napoli, dove era in corso la prima presentazione del suo volume. Il “retroterra” in cui si inserisce la sua ricerca è proprio quello creato da un utilizzo sempre più massiccio dei social e dei device mobili. Un uso smodato di questi ultimi può condurre, anzitutto, a fenomeni di isolamento sociale. “Basti pensare – dice Siani ai microfoni di notizie.com – che il numero di adolescenti hikikomori è triplicato negli ultimi tre anni. Questo è un allarme per la salute dei nostri ragazzi”.
Altro elemento che rischia di sfuggire di mano: quello relativo all’intelligenza artificiale. Siani si sofferma particolarmente su questo punto, rilevando come oggi l’IA sia utilizzata addirittura per leggere le favole ai bambini. “Quello che fa bene ai bambini è ascoltare la voce della mamma o del papà – continua Siani – Non una voce sintetica o asettica. Privare i bambini di questi stimoli e di queste sensazioni non è certo per lui un fatto positivo”.
Insomma, siamo arrivati a un punto di non ritorno? La soluzione, secondo Siani, non è certo privarsi della tecnica. Bensì farne un uso consapevole: “Bisogna saperla approcciare. Pensare di vietare l’uso dei social ai ragazzi è una soluzione semplicistica a un problema complesso. Per cui – conclude Siani – bisogna educare anzitutto le famiglie all’utilizzo dei social. Perché i ragazzi lo faranno comunque; ma devono avere la possibilità di farlo in sicurezza”.