Pensioni, quanto costa ritirarsi nel 2025? Ecco perché converrebbe ritardare l’uscita

Vi spieghiamo perché converrebbe lavorare fino a 71 anni (certo, poi non è che rimanga molto tempo per godersi la pensione).

Cosa cambia a livello pensionistico nel 2025?
Pensioni, quanto costa ritirarsi nel 2025? Ecco perché converrebbe ritardare l’uscita – notizie.com

Con l’avvicinarsi del 2025, il panorama previdenziale italiano si appresta a vivere una svolta significativa dovuta all’introduzione di nuovi coefficienti di trasformazione. Questo aggiornamento, sebbene previsto dalla normativa vigente, porta con sé delle conseguenze dirette sulle finanze dei futuri pensionati che meritano un’analisi approfondita.

I coefficienti di trasformazione rappresentano il meccanismo attraverso cui i contributi versati durante la vita lavorativa vengono convertiti in assegni pensionistici mensili. La loro revisione biennale ha lo scopo di adeguarli all’aumento dell’aspettativa di vita, presupponendo quindi una distribuzione più estesa nel tempo del montante contributivo accumulato.

Pensioni 2025: ecco cosa è cambiato a partire dall’inizio di quest’anno

A partire dal 1° gennaio 2025, chi andrà in pensione a 67 anni si troverà ad affrontare un tasso di conversione pari al 5,608%, inferiore rispetto al precedente 5,723%. Sebbene la differenza possa sembrare minima sulla carta, le sue ripercussioni economiche sono tutt’altro che trascurabili. Infatti, questa variazione comporterà una diminuzione dell’assegno mensile che si tradurrà in una perdita finanziaria considerevole lungo l’intera durata della pensione.

Per quantificare meglio questo impatto: un lavoratore con un reddito annuo lordo di €30.000 vedrà ridursi la propria pensione mensile da €1.250 nel 2024 a €1.225 nel 2025. Secondo le stime della Cgil, ciò equivale a una perdita mensile di €25 e a oltre €326 annui lordi; su tutta la durata della pensione si parla quindi di una perdita complessiva superiore ai €5.000.

La situazione diventa ancora più marcata per coloro che decidono di posticipare l’uscita dal mondo del lavoro oltre i canonici 67 anni: prendendo come esempio un lavoratore che va in pensione a 70 anni con uno stipendio annuo lordo pari a €35.000; quest’ultimo riceverebbe circa €1.367 al mese nel 2025 contro i €1.397 del suo omologo ritiratosi nell’anno precedente – evidenziando così una differenza negativa quasi pari a €400 su base annua.

Queste cifre mettono in luce come la revisione dei coefficienti possa incidere notevolmente sulle entrate future dei neo-pensionati e sollevano questioni importanti riguardanti la pianificazione finanziaria individuale pre-pensionamento.

Inoltre, è fondamentale considerare come tale scenario interagisca con altri fattori economici quali l’inflazione e il potere d’acquisto: mentre piccoli recuperi inflazionistici possono offrire qualche sollievo temporaneo ai futuri pensionati, le modifiche ai coefficienti tendono ad erodere questa breve consolazione finanziaria.

Di fronte a queste prospettive non particolarmente rosee per chi ambisce alla pensione nel medio termine, emerge chiaramente come posticipare il momento del ritiro possa rappresentare non solo una scelta obbligata per molti ma anche strategica sotto il profilo economico-finanziario.

La decisione tra anticipare o procrastinare l’ingresso nella fase della pensionamento assume dunque contorni sempre più rilevanti: se da un lato uscire anticipatamente significa accettare assegni più magri, dall’altro attendere fino ai 71 anni permette invece di massimizzare il proprio assegno.

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