Non è un caso autoctono, ma si tratta effettivamente di colera. La conferma è giunta dalle autorità sanitarie proprio in queste ore dopo l’allarme scattato la scorsa settimana.
Un paziente, italiano ma di rientro dalla Nigeria, attualmente ricoverato in poliambulanza a Brescia, è risultato positivo al batterio che produce l’enterotossina che provoca la malattia del colera.
I risultati delle analisi sono state diffuse dalla Direzione generale Welfare della Regione Lombardia e dall’Istituto superiore di sanità (Iss). Il paziente è dunque positivo nello specifico al vibrio cholerae sierogruppo 01 (sierotipo Ogawa). “Non è un caso autoctono”, hanno fatto sapere dall’Iss. L’uomo ha contratto la malattia all’estero prima di giungere in Italia. Al momento si trova ricoverato in terapia intensiva in prognosi riservata ma è vigile.
L’uomo è arrivato in Italia dalla Nigeria il 29 gennaio
Sono in corso approfondimenti da parte dell’Agenzia di tutela della salute (Ats) di Brescia. I contatti stretti individuati non presentano sintomi ma verranno sottoposti ad analisi di laboratorio in via preventiva e proseguirà la sorveglianza sanitaria già attivata. “Regione Lombardia, – si legge in una nota – in collaborazione con Ats Brescia, Iss e Ministero della Salute monitorano costantemente la situazione ed al momento non risultano problematiche di sanità pubblica“.
L’uomo è arrivato in Italia dalla Nigeria il 29 gennaio. Lo stesso giorno, in tarda serata, ha manifestato sintomi gastrointestinali. Sono già state predisposte le misure per il contenimento della diffusione della malattia. Appena pochi giorni fa avevamo dedicato un approfondimento alle malattie tropicali neglette, protagoniste di un dossier elaborato da Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco, e da Iss, l’Istituto superiore di sanità.
“Le malattie infettive non conoscono confini. La lotta deve essere fatta tutti insieme in accordo con le autorità sanitarie internazionali. – ha detto Matteo Bassetti, direttore Malattie infettive ospedale policlinico San Martino di Genova – Un caso che mostra la globalizzazione delle malattie infettive e l’importanzadi fare fronte comune. C’è qualcuno che però non lo capisce, ma ci siamo abituati“.
In realtà, però, il colera è una vecchia conoscenza anche europea. Nel XIX secolo si è diffuso più volte a partire dalla sua area d’origine, il delta del Gange, dando il via a ben 6 pandemie globali. Pandemie che hanno ucciso milioni di persone in tutto il mondo. Come confermato dall’Iss, il colera è un’infezione diarroica acuta causata dal batterio vibrio cholerae.
La sua trasmissione avviene per contatto orale, diretto o indiretto, con feci o alimenti contaminati. Nei casi più gravi può portare a pericolosi fenomeni di disidratazione. La settima pandemia è ancora in corso. È iniziata nel 1961 in Asia meridionale, raggiungendo poi l’Africa nel 1971 e l’America nel 1991. Il batterio che provoca la malattia non è ancora stato eliminato dall’ambiente. Il rischio della sua diffusione è fortissimo in diversi Paesi del mondo, alcuni dei quali più disagiati, altri alle prese con guerre e conflitti o disastri naturali.
I batteri produttori di enterotossina
I sierogruppi responsabili di casi confermati di colera sono due: il Vibrio cholerae 01, quello rilevato a Brescia, appunto, e il Vibrio cholerae 0139. Entrambi sono produttori di enterotossina colerica. gli interventi più importanti per la prevenzione delle epidemie di colera riguardano la depurazione dell’acqua e il funzionamento del sistema fognario.
“Garantire la sicurezza del cibo e dell’acqua e migliorare l’igiene – hanno fatto sapere dall’Iss – sono le condizioni di base per la prevenire le epidemie. Anche l’educazione al rispetto di accorgimenti igienici durante la preparazione o l’assunzione del cibo, come il lavarsi le mani con il sapone prima di iniziare a cucinare o mangiare, può contribuire a ridurre la diffusione delle epidemie. I vibrioni del colera sono, infatti, estremamente sensibili all’azione dei comuni detergenti e disinfettanti“.