Nel corso delle riunioni decidevano strategie e nuovi organigrammi dei diversi mandamenti. Lo facevano utilizzando telefoni criptati che consideravano “impossibili” da intercettare.
Invece, ad ascoltare ogni loro singola parola, c’erano i carabinieri. Così, dopo mesi di indagini, i militari li hanno arrestati dopo aver ricostruito la geografia criminale di Cosa Nostra palermitana.
I carabinieri, agli ordini del colonello Ivan Boracchia e del tenente colonnello Domenico La Padula, hanno eseguito 5 diverse ordinanze di custodia che hanno portato in carcere 183 persone. Tutte sono accusate di associazione per delinquere di tipo mafioso, tentato omicidio, estorsioni, consumate o tentate, aggravate dal metodo mafioso, associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, favoreggiamento personale, reati in materia di armi, contro il patrimonio, la persona, esercizio abusivo del gioco d’azzardo.
Negli atti dell’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia (Dda) palermitana traspare una cupola in qualche modo “nostalgica”, in piena fase di riorganizzazione. “Il livello è basso oggi arrestano a uno e si fa pentito. Arrestano un altro, livello misero, basso, ma di che cosa stiamo parlando? – diceva il capomafia Giancarlo Romano – Io spero sempre nel futuro, in tutta Palermo, da noi, spero nel futuro di chi sarà il più giovane”.
Secondo i pm l’obiettivo era fortificare le capacità operative e “riacquistare il potere contrattuale con il tessuto sociale e istituzionale” di un tempo. Nelle conversazioni intercettate i nuovi boss parlavano degli storici capimafia, rimpiangendone il prestigio e lo spessore criminale. “Se tu guardi Il Padrino, il legame che aveva, non era il capo assoluto. – proseguiva Romano – Lui è molto influente per il potere che si è costruito a livello politico nei grossi ambienti. Noi che cosa possiamo fare? Ma tu devi campare con la panetta di fumo, cioè così siamo ridotti?”.
Per tornare ai “fasti” di un tempo, dunque, Cosa Nostra si stava basando sull’opera dei “padri costituenti”, sull’appartenenza alle cosche come motivo di orgoglio, equiparandola al sacramento del matrimonio. Evolvendosi poi grazie alle nuove tecnologie e tornando ricca con il narcotraffico imposto ai venditori al dettaglio attraverso rapporti con la ‘ndrangheta calabrese e quote mensili. Il coordinamento dei vari mandamenti era dunque assicurato dai cosiddetti criptofonini che spopolavano anche nei penitenziari.
Si tratta di minuscoli apparecchi telefonici dotati di sim che ostacolavano le intercettazioni e, soprattutto, rendevano “operativi” i detenuti. Dalle celle, insomma, i mafiosi parlavano di affari, si riunivano e davano ordini. In un caso è stata ordinata una spedizione punitiva in “videocall”, con la scelta della squadra deputata al pestaggio ed il raid stesso effettuato in diretta. Colpiti quindi i mandamenti di Palermo e provincia, in particolare quelli di Porta Nuova, Pagliarelli, Tommaso Natale – San Lorenzo, Santa Maria del Gesù e Bagheria.
Oltre 1.200 carabinieri hanno disarticolato la nuova Cosa Nostra, svelando l’organigramma delle principali famiglie, gli affari dei clan e l’ennesimo tentativo di ricostituire la cupola provinciale e di reagire alla dura repressione che negli ultimi anni ha portato in cella migliaia di persone. Una folla di familiari di alcuni degli arrestati si è radunata davanti alla caserma Giacinto Carini di piazza Verdi, sede del Comando provinciale dei carabinieri, dove sono stati condotti gli indagati.
“Io spero sempre nel futuro, in tutta Palermo, – si sfogava un boss – da noi, spero nel futuro di chi sarà il più giovane. Ti devi fare il cervello tanto, perché noi dobbiamo crescere. A scuola te ne devi andare. Conoscerai dottori, avvocati, quelli che hanno comandato l’Italia, l’Europa. Quando si parla dei massoni, i massoni sono gente con certi ideali ma messi nei posti più importanti”.