Carmine Puccinelli aveva 15 anni quando è morto. Deceduto il 23 dicembre del 2023 per cause ancora da chiarire, ma che potrebbero essere ricondotte a un caso di malasanità.
Oggi gli avvocati difensori della famiglia annunciano il ricorso alla Corte Europea dei Diritti Umani. Ma andiamo con ordine: a Carmine, 15enne di Napoli, fu diagnosticato un tumore “troppo tardi”, a causa di “gravi negligenze mediche”. Ciò secondo quanto riportato dallo studio associato Maior, ossia gli avvocati che difendono la famiglia del ragazzo nel procedimento legale che è stato intentato per la sua morte.
L’ipotesi della difesa è che la neoplasia al ginocchio di cui il ragazzo soffriva fu scambiata dai medici curanti per una cisti o una contusione. “Secondo la consulenza tecnica depositata presso la procura di Macerata – si legge in una nota diffusa all’epoca dallo studio legale – la neoplasia al ginocchio di Carmine era già riconoscibile a dicembre 2022”. Ossia: quando i primi sintomi avevano già spinto la famiglia a cercare risposte in ambito medico.
“Tuttavia – si legge sempre nel comunicato dello studio legale – i medici hanno inizialmente sottovalutato la situazione. Diagnosticando erroneamente una semplice contusione, una cisti o del liquido da aspirare”. Un ritardo nella diagnosi che “ha impedito un trattamento tempestivo che avrebbe potuto salvare la vita di Carmine”.
Queste le premesse. Gli avvocati della famiglia hanno quindi chiesto “l’adozione di misure nei confronti dei sanitari direttamente coinvolti”. Una battaglia che sta andando avanti: lo studio legale ha infatti annunciato ricorso in Cassazione e in seguito presso la CEDU. “Siamo pronti a ricorrere alla Corte Europea dei Diritti Umani qualora il gip di Macerata non dovesse accogliere le nostre richieste”. È quanto afferma, ai microfoni di notizie.com, Pierlorenzo Catalano. Uno degli avvocati difensori della famiglia Puccinelli.
Il procedimento a carico dei medici indagati è per omicidio colposo in ambito sanitario. “La nostra tesi è che, tra i medici, c’è chi ha omesso la diagnosi, chi ha sbagliato la radiografia, chi ha sbagliato la biopsia. Tutto ciò ha portato a non eradicare la neoplasia e a portare il bimbo al decesso dopo circa otto mesi”, continua l’avvocato Catalano.
Le tesi della difesa “sono supportate da una perizia effettuata da un professore di oncologia dell’Università di Napoli”, afferma il legale. Secolo tale perizia, “attraverso una corretta diagnosi si sarebbe giunti all’eradicazione del tumore e a una possibilità di sopravvivenza, per Carmine, pari al 90 percento”. Secondo l’avvocato Catalano, “possiamo affermare senza timore di smentita che con una corretta diagnosi il bimbo sarebbe ancora qui assieme a noi”.
“Non ci fermeremo fino a che non avremo giustizia per Carmine – conclude il legale – come abbiamo già avuto modo di sottolineare, il suo sacrificio deve servire a proteggere altri bambini. Una battaglia che portiamo avanti per lui ma anche per tutte quelle famiglie che si affidano ai medici e che per questo meritano rispetto e competenza”.
Ciò che resta, al di là degli aspetti procedurali, è un dolore incolmabile da parte della madre di Carmine: “Ogni giorno vedevo mio figlio peggiorare – dichiarò Immacolata Riccio – quando i medici finalmente riconobbero il tumore, mi dissero che era troppo tardi. Carmine poteva salvarsi”.
Il ricorso in Cassazione e in seguito alla CEDU mirano a fare chiarezza su una vicenda che ha creato enorme dolore. “Non posso accettare che mio figlio sia morto così”, dice Immacolata Riccio. Che ora chiede, ad ancora maggior voce, verità e giustizia per suo figlio.