Che fine fanno le quote non espresse dell’8 per mille? Ecco dove, ogni anno, all’insaputa del contribuente, finiscono vari milioni di euro.
L’8 per mille (8xmille) è la quota di imposta sui redditi soggetti IRPEF che lo Stato italiano distribuisce fra sé stesso e dodici confessioni religiose con cui si hanno accordi di finanziamento. Deve essere il contribuente a scegliere in dichiarazione dei redditi a chi destinare la quota.
I beneficiari dell’8 per mille, in tutto, sono tredici. Il primo grande beneficiario è lo Stato. Poi ci sono diverse confessioni religiose: quelle che negli anni scorsi hanno stipulato intese di ripartizione con l’Italia. L’altro grande beneficiario è la Chiesa Cattolica. Ovvero il soggetto che, dopo lo Stato, concorre alla maggioranza delle quote. E ciò in virtù del Concordato lateranense e della sua revisione del 1984. Poi ci sono la Chiesa valdese e l’unione delle chiese avventiste del settimo giorno.
Ci sono i pentacostali, le comunità ebraiche, gli evangelici (che avevano rifiutato l’8 per mille fino al 2012), gli ortodossi, gli apostolici, i battisti, i luterani, i buddhisti, gli induisti, l’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai e dal 2019 pure gli anglicani. Non hanno mai avuto accesso all’8 per mille i Testimoni di Geova, anche se ci sono state varie trattative con lo Stato italiano negli scorsi anni.
Ma cosa succede se un contribuente non sceglie a chi destinare l’8 per mille nella dichiarazione dei redditi? Dove va a finire la quota non espressa? Ovviamente, non viene lasciata al contribuente. Lo Stato se la prende comunque. E poi? Secondo la normativa vigente l’8 per mille non assegnato viene comunque distribuito e ripartito proporzionalmente tra i beneficiari che hanno ricevuto preferenze esplicite dai contribuenti.
Dove finiscono i soldi dell’8 per mille
Funziona così: se la maggioranza delle scelte è andata alla Chiesa Cattolica (come succede sempre), la quota non destinata andrà per la maggior parte al papa. Piccole parti, invece, saranno concesse agli altri beneficiari possibili. La Chiesa apostolica in Italia (cioè i pentecostali) concorre alla ripartizione per le quote espresse ma rinuncia a favore dello Stato per la parte di quote non espresse.
Il Governo è tenuto a comunicare ai contribuenti in che modo gestisce i fondi di attraverso una sezione apposita del suo sito Internet. In questo sito è anche possibile candidarsi per ricevere finanziamenti ad attività che rientrino nelle categorie previste.
Lo Stato, dunque, deve comunicare ai contribuenti come e dove spende i soldi ricevuti con l’8 per mille. Di norma, le entrate finiscono soprattutto per finanziare i beni culturali, per intervenire sul territorio dopo calamità naturali, per l’assistenza ai rifugiati, per la fama nel mondo e per l’edilizia scolastica. Nel 2014 ci sono state delle modifiche della normativa vigente per destinare una quota parte dell’8 per mille al sostegno alle politiche sociali di contrasto alla povertà.
Le spese della Chiesa Cattolica
In pratica, analizzando gli ultimi dati disponibile, lo Stato riesce a incassare dall’8 per mille quasi sempre più di 100 milioni di euro all’anno. Talvolta anche 150. Di questi fondi, l’80% entra nel bilancio generale. Il resto viene diviso fra beni culturali, calamità naturali e altri scopi elencati. Dovrebbe interessare sapere che quando si parla di beni culturali, in Italia s’intendono soprattutto chiese cattoliche. Quindi anche lo Stato, con la sua parte, finanzia la Chiesa di Roma.
Dopo lo Stato, a incassare di più, è la Chiesa Cattolica. E anche in questo caso sappiamo più o meno come vengono ripartiti i fondi recuperati. Il grosso delle entrate servono alla Chiesa per il sostentamento del clero, quindi per gli stipendi, chiamiamoli così, da dare a cardinali, vescovi, preti, monaci e suore.
Il resto si spende per esigenze di culto: ovvero per tutte quelle spese relative all’edilizia religiosa, alla catechesi e alla promozione delle iniziative pastorali. Un 30% circa dei fondi finisce in opere di carità.