Da giorni i Centri di assistenza fiscale (Caf) avevano segnalato un maggior carico fiscale per i lavoratori dipendenti.
Al centro della questione c’erano l’Irpef ed i relativi acconti. I Caf hanno denunciato che i cittadini sarebbero stati gravati dell’onere di versare l’acconto Irpef per l’anno 2025 anche in mancanza di redditi ulteriori rispetto a quelli già assoggettati a ritenuta d’acconto.
Così, in extremis, il Ministero dell’Economia e delle Finanze è stato costretto ad intervenire. O meglio, a correggere. Perché in realtà le intenzioni del governo centrale erano quelle di alleggerire il carico dei lavoratori dipendenti. Il problema si è presentato nell’interpretazione delle norme varate dal Dicastero nella riforma del Fisco. Il Mef ha quindi fatto sapere ufficialmente che gli acconti Irpef per il 2025 saranno calcolati in base alle nuove aliquote.
Irpef 2025: come cambia il calcolo degli acconti e l’impatto sui lavoratori
“In considerazione dei dubbi interpretativi posti, – hanno fatto sapere dal Mef – e al fine di salvaguardare tutti i contribuenti interessati, il governo interverrà anche in via normativa per consentire l’applicazione delle nuove aliquote del 2025 per la determinazione dell’acconto. L’intervento sarà realizzato in tempo utile per evitare ai contribuenti aggravi in termini di dichiarazione e di versamento”. Una corsa contro il tempo che per il Ministero è comunque una priorità.
Il primo a recepire le segnalazioni provenienti dai Caf era stato il sindacato Cgil. Quest’ultimo aveva scritto d’urgenza al titolare del Mef Giancarlo Giorgetti e al viceministro Maurizio Leo. Nello specifico, “l’errore” era contenuto nel comma 4 dell’art. 1 del decreto legislativo 216/2023. Il comma, infatti, stabilisce che per gli acconti Irpef richiesti quest’anno in sede di dichiarazione dei redditi, si applichino le quattro aliquote vigenti fino al 2023 (poi ridotte a tre a partire dal 2024) e le relative detrazioni.
“Questo costringerà lavoratori dipendenti e pensionati a effettuare pagamenti non dovuti. – avevano scritto nella missiva il segretario confederale della Cgil, Christian Ferrari e la presidentessa del Consorzio Nazionale Caaf Cgil, Monica Iviglia – Al fine di evitare un aggravio sui bilanci familiari, già in forte difficoltà a causa dell’alta inflazione cumulata negli ultimi anni, vi chiediamo di intervenire con la massima urgenza per abrogare il comma citato”.
Detto, fatto. O meglio: annunciato. La svista (e l’ingiustizia) sull’Irpef avrebbe avuto del clamoroso. Le aliquote dei quattro vecchi scaglioni sono infatti nettamente superiori agli attuali, ma non solo. Per il calcolo bisognava tenere conto della detrazione per redditi di lavoro dipendente vigente al 31 dicembre 2023, che era inferiore a quella attuale. Dai calcoli fatti da sindacati risultava che applicare le vecchie regole Irpef del 2023 si traduceva in un “prestito” variabile dai 75 ai 260 che i lavoratori dipendenti si sarebbero visti restituire solo nel 2026.