Momento di grane difficoltà dal punto di vista strategico e con un cambio di governo in corsa e ancora tutto da definire
Liz Truss, la neo-premier britannica, ha varato un piano di emergenza per contenere la spesa energetica delle famiglie. L’obiettivo è fissare l’asticella a 2.500 sterline annue, circa mille in meno rispetto agli attuali livelli, scaricando sull’erario la differenza tra il prezzo calmierato e quello di mercato. La manovra, il cui costo potrebbe raggiungere i 200 miliardi di sterline, ha quasi affossato il bilancio pubblico del Regno Unito, scatenando il panico sui mercati. Eppure, non si tratta solo di una mossa un po’ populista per ricuperare consenso: dietro c’è anche il tentativo di arginare una morosità che sta crescendo senza sosta. Si stima che circa 1,7 milioni di persone (il 6% della popolazione) si apprestino a smettere di pagare luce e gas, o abbiano già smesso. C’è addirittura un movimento organizzato, Don’t Pay, che promuove esplicitamente lo sciopero delle bollette. Il problema è che la prevedibile crescita della morosità, pur dando un momentaneo sollievo ai consumatori, rischia anche di compromettere la condizione dei venditori di energia. Infatti, in Gran Bretagna sono falliti più della metà dei circa cinquanta operatori del mercato, stretti tra il martello dei prezzi crescenti e l’incudine di un price cap introdotto tra il 2016 e il 2017.
Queste bancarotte hanno lasciato uno strascico pesante: milioni di clienti senza un fornitore e miliardi di sterline di buco, che vanno ad appesantire le bollette di tutti. La stessa preoccupazione di evitare fallimenti a catena è al centro del piano tedesco da 200 miliardi di euro annunciato la settimana scorsa dal cancelliere Olaf Scholz. Una porzione rilevante dei fondi serve a finanziare interventi emergenziali a supporto degli importatori di gas che non riescono a sostenere gli oneri finanziari connessi alla loro attività. Il più grosso di tutti, Uniper, che serve circa il 40% dei consumatori tedeschi di gas, è stato nazionalizzato giusto un paio di settimane fa.
Un rischio e un problema da affrontare in fretta
Da cosa nascono le difficoltà degli operatori? Intanto, ovviamente, devono pagare in anticipo i volumi di energia che poi rivendono ai clienti finali. Questi salderanno le fatture soltanto settimane, o addirittura mesi, più tardi: il continuo incremento dei costi delle commodity determina quindi un impegno crescente semplicemente per finanziare le compravendite, senza contare gli insoluti. Non solo: in un mercato così incerto, è buona prassi acquistare coperture. Per farlo, venditori e trader devono fornire garanzie commisurate al valore dei prodotti acquistati. Lo sforzo per tenere il passo dei prezzi sta mettendo tutti in crisi, chi più chi meno. Anche in Italia le sofferenze cominciano a emergere e i primi scricchiolii ad avvertirsi. Rispetto ad altre nazioni, abbiamo un numero maggiore di venditori (circa 700) con una dimensione media più piccola.
Per di più, diversamente dalla Germania, non solo il governo Draghi non ha introdotto strumenti emergenziali a sostegno della liquidità delle imprese, ma anzi ne ha aggravato la condizione. Basti citare provvedimenti come l’obbligo di rateizzazione delle bollette a tasso zero, la tassa sui cosiddetti extraprofitti e, da ultimo, il divieto di adeguare i prezzi di vendita alla nuova situazione dei mercati. Sono tutte misure che scaricano sui venditori una parte del costo del caro-energia, senza considerare però che questi ultimi non ne sono beneficiari, ma vittime. Se un numero relativamente grande di imprese venditrici di energia elettrica e gas dovesse fallire, il prossimo governo si troverebbe a gestire un triplice problema. In primo luogo, i rispettivi clienti verrebbero automaticamente trasferiti al servizio di tutela o di salvaguardia (a seconda che si tratti di famiglie o microimprese, da un alto, o imprese di maggiori dimensioni, dall’altro): e ciò determinerebbe un repentino incremento della bolletta.