La tragedia più grande della storia del calcio sovietico, 66 tifosi persero la vita per la calca all’uscita dalle tribune dopo un match di Coppa UEFA
Il 20 Ottobre 1982 allo Stadio Lenin di Mosca, durante una partita di Coppa Uefa tra lo Spartak di Mosca e gli olandesi del Haarlem, 66 persone persero la vita. Una strage paragonabile all’Heysel, ma della quale, a differenza di quest’ultima, conosciamo poco perché intervenne il regime a nascondere tutto.
L’Heysel, con i 39 italiani tifosi della Juventus morti, la ricordiamo bene, oppure Bradford, sempre nel 1985, dove trovarono la morte 56 persone, o quella dell’Hillsborough di Sheffield, quattro anni più tardi, con le sue novantasei vite spezzate, prima della semifinale di FA Cup, ma anche le tragedie a Bastia, in Corsica, nel 1992 o in Guatemala nel 1996, fino all’ultima in ordine di tempo, 125 morti durante gli scontri nello stadio di Malang in Indonesia. Queste le tragedie più grandi dentro uno stadio di cui abbiamo memoria.
Una notte da gelo polare
Quarant’anni fa allo stadio Lenin di Mosca, oggi Luzhniki, si consumò una tragedia immane che venne silenziata, insabbiata e poi dimenticata. Di quello che successe quella sera non si saprà più nulla e non rimase traccia se non nei ricordi di chi c’era e ha vissuto quei momenti, perché in quegli anni in Russia funzionava così e tutto quello che poteva nuocere al regime doveva essere nascosto, fatto sparire. Quella sera del 20 ottobre del 1982 la temperatura era di 10 gradi sotto zero a Mosca, quando circa 15mila spettatori, sfidando il gelo polare, si recarono nell’immenso stadio da 80mila posti, costruito per elogiare la magnificenza russa in occasione delle Olimpiadi di due anni prima, per assistere alla partita di andata dei sedicesimi dell’allora Coppa UEFA tra i padroni di casa dello Spartak di Mosca e gli olandesi del HFC Harlem. A causa del ghiaccio alcuni settori dello stadio non erano agibili e tutti gli spettatori erano stati disposti nella Tribuna Est, scelta condivisa da quei pochi coraggiosi, per lo più operai e studenti, che avevano osato sfidare il gelo arrivando allo stadio in metro con la fermata posizionata proprio davanti quella tribuna.
La strage silenziosa
Lo Spartak, che al primo turno aveva eliminato gli inglesi dell’Arsenal e schiera tra i pali il celebre Rinat Dasaev, dopo 16 minuti conduce già per 1-0 grazie a un gol di Edgar Gess. I giocatori sono praticamente irriconoscibili tra calzamaglie di lana, berretti in testa e guanti alle mani, ma la temperatura è davvero da togliere il fiato e quando la partita sta volgendo al termine i coraggiosi tifosi sugli spalti decidono che ne hanno abbastanza di quel gelo e cominciano ad abbandonare lo stadio, così da non trovare file o intoppi alla metro. Sembrerebbe una tranquilla serata di calcio come tante altre, quando all’ultimo minuto il difensore Sergei Shvetsov sigla il definitivo 2 a 0. “Non avrei mai voluto segnare quel gol” , dirà più tardi il giocatore russo, perché quel gol segna l’inizio della tragedia. La gente, infatti, accalcata sulle scale per l’unica uscita, sente l’esultanza proveniente dalle tribune e quindi molti decidono di tornare indietro, venendo però inspiegabilmente bloccati dalla polizia. E’ una bolgia, ma mentre la persone restano imbottigliate tra le scale, spintonate a destra e a manca, accade l’imprevedibile, perché le scale, inadatte a sopportare un peso simile, cedono di schianto. E’ la tragedia. Le squadre terminano l’incontro senza accorgersi di nulla, ma vengono sequestrate dalla polizia negli spogliatoi e portate altrove. I giocatori olandesi, tra cui un giovanissimo Ruud Gullit, sapranno quello che è successo molti anni dopo.
Tutto minimizzato e poi insabbiato
Il bilancio ufficiale della mattanza è di 66 morti e 61 feriti. Quello che la Polizia non seppe fare per prevenire una strage così, fece benissimo subito dopo, quando insabbiò e mise sotto silenzio l’accaduto. Il giorno dopo, il quotidiano “Il Vespro di Mosca”, riporta in modo molto generico di “qualche incidente che ha comportato lesioni ad alcuni tifosi”, guardandosi bene dall’entrare nei dettagli. Gradualmente, l’inchiesta sul disastro ordinata da Jurii Andropov, una volta diventato segretario del PCUS succedendo a Breznev, ammise che in quella tragica serata rimasero uccise 66 persone. In realtà, fonti non ufficiali parlano di almeno 300 spettatori che persero la vita in quella calca infernale. Ma le autorità sovietiche hanno insabbiato per anni i reali numeri della vicenda e ancora oggi gli storici faticano a ricostruire le effettive proporzioni della strage. Sembra che addirittura alcuni funzionari, su ordine diretto del Cremlino, si misero a compilare falsi certificati di morte, in modo tale che i decessi di molti spettatori venissero spostati in altri luoghi e in altre circostanze.
Un monumento ai defunti e una partita alla memoria
Per anni, sui quotidiani sovietici si faranno solo vaghe allusioni al disastro del Luzhniki ex stadio Lenin, con qualche tassello di verità che comincerà a emergere soltanto dopo il crollo dell’URSS. E solamente nel 1990 si permetterà la costruzione di un monumento commemorativo all’esterno dell’impianto. Ancora oggi nessun responsabile di alto livello ha chiesto scusa per questa tragedia. Venticinque anni dopo la terribile tragedia, gli ex giocatori delle squadre coinvolte si sono ritrovati al Luzhniki per una partita amichevole, ma soprattutto per commemorare tutte le vittime di uno dei tanti fatti più drammatici riemersi dagli abissi della censura solo dopo il crollo del regime sovietico.