Il vice presidente dell’Associazione, nata all’interno del carcere di Rebibbia a L’Opinione: “Aspettiamo una riforma da 30 anni”
Viaggio all’interno dell’Associazione “Gruppo Idee”. Nell’ultimo numero de L’Opinione, Claudia Diaconale intervista Massimiliano Baldoni, vicepresidente dell’associazione che nasce nel 2007, all’interno del carcere romano di Rebibbia – Nuovo Complesso, dalla volontà di un gruppo di detenuti di dimostrare alla società che gli sbagli e la privazione della libertà non impediscono la capacità di rinnovarsi. “Mi sono avvicinato al mondo del carcere per amicizia. Quando ero ragazzo frequentavo realtà dal contesto non facile, quindi ho conosciuto diverse persone che poi hanno passato una serie di guai giudiziari. In alcuni casi perché avevano commesso reati, in altri perché erano incappati nelle maglie della cattiva giustizia seppur innocenti: questo mi ha fatto pensare che chiunque poteva finire in un vortice senza uscita, che sarebbe potuto succedere anche a me. E mi ha consentito di avere meno pregiudizi a priori, per questo poi mi sono avvicinato all’associazione”.
Baldoni spiega la situazione relativa al reinserimento: “La situazione interna è rimasta sostanzialmente inalterata, con i suoi alti ed i suoi bassi. Sicuramente, da questo punto di vista, Rebibbia rappresenta un esempio positivo di istituto penitenziario: attraverso la sorveglianza dinamica (che consente ad un detenuto di muoversi all’interno del proprio reparto e di svolgere attività lavorative), con l’intento di non tenere il detenuto solamente rinchiuso in cella, grazie a progetti lavorativi e corsi di studio, è un esempio di buon funzionamento. Naturalmente poi ci sono delle situazioni critiche date anche dagli eventi esterni: questi due anni di covid sono stati devastanti perché sono state imposte delle limitazioni molto forti per tutte le attività, al fine di tutelare la salute. Però, generalizzando, la situazione è rimasta stabile nonostante tutte le differenze a livello nazionale delle varie strutture. Per quel che riguarda la società civile, per me purtroppo, c’è un regresso enorme”.
Determinante anche l’aspetto mediatico: “Basta un’intercettazione o un semplice sospetto per invertire il nostro assioma di base del principio di giustizia. Invece di dover dimostrare la propria colpevolezza, a livello mediatico, devi dimostrare la tua innocenza:
si ribalta quindi il principio “meglio un colpevole fuori che un innocente in carcere” (principio ribadito anche da molti magistrati). Oggi purtroppo questo concetto è stato ribaltato e c’è un approccio solamente punitivo e colpevolista. Viene a mancare la consapevolezza che i detenuti sono esseri umani che, una volta scontata la pena, dovranno essere Capaci di tornare all’interno della società in maniera positiva”.
Sulle strutture carcerarie: “Regina Coeli sembra rimasta a 50 anni fa: è una tipologia di istituto penitenziario di passaggio che modifica totalmente l’approccio della sua stessa
gestione ma soprattutto cambia la tipologia di popolazione detenuta. Un conto è il detenuto condannato a 20 o 30 anni: quelle persone si approcciano in maniera diversa perché il fattore temporale gli dà un certo tipo di approccio mentale per cui il carcere diventa una sorta di casa. Totalmente diverso è il caso di detenuti con pene brevi, magari di pochi mesi, o pochi anni: quelle persone in carcere si comporteranno anche peggio di quanto fatto fuori perché sanno che di lì a breve usciranno comunque. Questo crea la maggior parte dei problemi sia con gli altri detenuti che con il personale”.
Baldoni chiude con un appello al nuovo Governo. “La riforma dell’ordinamento penitenziario è la prima cosa: sono 30 anni che non ci si mette mano. Accanto alla
riforma è necessaria una presa di coscienza su quello che la stessa Ue ci chiede (e per cui ci ha già sanzionato) ovvero il sovraffollamento delle carceri. Basterebbe rivedere il meccanismo della custodia cautelare per iniziare: ossia tutte le persone in carcere in attesa di processo. Oppure i detenuti affetti da patologie, quindi con condizioni non compatibili con il carcere e che, invece, sono lì. Andrebbero potenziate le misure alternative per tutti i reati minori. E serve aumentare in generale il livello di vivibilità all’interno del carcere: non
scordiamo che quest’anno il tasso di suicidi ha raggiunto un livello altissimo”.