Una sinistra in crisi d’identità ha ormai quest’ unico collante: la polemica contro un fantasma, scrive Borgonovo su La Verità
Come era facile prevedere l’ossessione della sinistra è cresciuta esponenzialmente dopo la vittoria della destra alle elezioni del 25 settembre ed è letteralmente esplosa quando Ignazio La Russa è stato scelto come presidente del Senato. Da allora, il martellamento mediatico sul pericolo nero si è fatto più insistente che mai. I media progressisti hanno rimproverato a Giorgia Meloni di non aver condannato il fascismo nel suo discorso d’insediamento a Palazzo Chigi. E poi ancora le hanno rinfacciato di non aver deprecato la marcia su Roma nel giorno del centenario, il 28 ottobre. Quindi gli editorialisti più acuminati hanno preso d’assalto La Russa, stuzzicandolo sulla sua eventuale partecipazione alle celebrazioni del 25 aprile (per altra mezza annunciata nel giorno dell’elezione al Senato). La Stampa gli ha posto la fatale domanda in un’intervista, e Ignazio ha risposto in maniera piuttosto chiara: «Dipende. Certo non sfilerò nei cortei per come si svolgono oggi». Da qui, il titolone del quotidiano torinese: «Non celebrerò questo 25 aprile», frase virgolettata attribuita appunto a La Russa. Per riflesso condizionato, il segretario del Pd Enrico Letta si è precipitato a dichiarare che il presidente del Senato «divide l’Italia» e che il governo di destra «fa paura».
Per rendere più truculento il quadretto, Letta ha chiamato in causa il manipolo di nostalgici che si è dato appuntamento a Predappio, paese natale di Benito Mussolini, per celebrare la marcia su Roma con ampio sfoggio di saluti romani, ovviamente immortalati con gusto da cameramen e fotografi. Con protagonisti e dettagli diversi, questo tipo di teatrino si è ripetuto infinite volte negli ultimi decenni, e potrebbe essere facilmente liquidato come polemica patetica alimentata da una sinistra in crisi d’identità e priva d’argomenti. Forse però è il caso di provare a volare appena più alto, al di sopra delle parti. In fondo, proprio per il loro carattere posticcio di messa in scena, le scaramucce verbali tra La Russa e Letta sono decisamente poco rilevanti. Più rilevante, invece, è il tema dell’antifascismo e del suo significato attuale.
De Benoist aveva intuito che, da nemica del capitalismo, si sarebbe trasformato in ideologia al funzionale sistema
In Italia i conti con il fascismo, al di là dei luoghi comuni giornalistici, sono stati fatti abbondantemente. Ma i conti con l’antifascismo non sono stati fatti mai. A sinistra è considerato l’ultimo valore capace d’unire, di mobilitare e d’entusiasmare, da qui la sua sacralità. A destra è guardato come si guarda una pistola puntata, un’arma pronta da scaricare alla bisogna. In entrambi i punti di vista c’è della verità, che però non basta a esaurire il fenomeno. In effetti, l’antifascismo è ancora capace di muovere piccole masse a sinistra, di riavvicinare le posizioni più distanti, di entusiasmare qualche universitario. Ciò che sfugge ai più, tuttavia, è l’obiettivo reale di tale mobilitazione. E sì, l’antifascismo è un’arma, ma non è puntata solo contro la destra, anzi. Come ha notato Alain de Benoist, «l’antifascismo contemporaneo – che, parafrasando Joseph de Maistre, si potrebbe definire non il contrario del fascismo ma un fascismo in senso contrario – ha completamente modificato la sua natura. Negli anni Trenta il tema dell’antifascismo, forgiato da Stalin ai margini dell’autentica lotta contro il vero fascismo, serviva ai partiti comunisti per mettere sotto accusa la società capitalistica borghese, accusa di servire da terreno di coltura per il totalitarismo. Si trattava, allora, di dimostrare che le democrazie liberali ei «socialtraditori» erano oggettivamente alleati potenziali del fascismo. Attualmente, invece, accade proprio il contrario: l’antifascismo serve innanzitutto da alibi a chi ha aderito al pensiero unico e al sistema esistente».
A ben vedere, dunque, l’antifascismo in assenza di fascismo (così lo definiva Costanzo Preve, studioso arguto le cui opere sono in corso di ristampa da parte di due coraggiosi editori come Inschibbolet e Petite pleisance) benché dannoso non è anacronistico. Tutt’altro: è perfettamente funzionale al sistema attualmente dominante. È, per così dire, il guardaspalle del globalismo o del neoliberismo, chiamatelo come preferite. Essendo il fascismo – inteso come sinonimo di generica oppressione e compressione delle libertà – il assoluto dell’ideologia liberale (che sulla promessa di libertà ha costruito la sua intera struttura), ecco che l’antifascismo è utile a colpire chiunque quell’ideologia la osteggio o anche solo la critica. Dice bene De Benoist: «L’antifascismo, un tempo strumento strategico che consentiva di mettere sotto accusa il capitalismo mercantile, si è oggi trasformato in un discorso al servizio di quest’ultimo. Sino a quando, infatti, le potenziali forze di contestazione si mobilitano prioritariamente contro un fascismo fantasma, la Nuova Classe, che esercita il potere reale, può dormire fra due guanciali. I nostri moderni antifascisti, richiamandosi a un valore che non solo non minaccia più la società esistente ma anzi la rafforza nelle convinzioni che ha, ne diventano oggettivamente i cani da guardia».