I ragazzi vincono il trofeo a Dubai contro il Brasile ma contestano apertamente il governo con un gesto plateale che fa il giro del mondo
Un gesto che passerà alla storia come uno dei coraggiosi. E in questo momento, quando davanti c’è il governo di Teheran, c’è da preoccuparsi e anche tanto. Uno degli eventi sportivi più attesi dell’anno in Iran, la finale della Emirates Intercontinental Cup di Beach Soccer tra la nazionale iraniana e il Brasile, si è trasformato in una clamorosa piattaforma per il dissenso contro gli Ayatollah.
A Dubai, infatti, i calciatori della nazionale di calcio su sabbia, numero due del ranking mondiale, e molto fanosi nel loro paese, quasi dei veri e propri idoli, si sono prima rifiutati di cantare l’inno nazionale, poi uno di loro, Saeed Piramoon, ha esultato dopo un gol mimando il gesto di tagliarsi una ciocca di capelli, chiaro segno solidarietà alla rivolta divampata in patria dopo la morte di Mahsa Amini.
Una protesta che rischia di costargli la vita
E’ stata una partita molto combattuta raccontano le cronache, ma i ragazzi iraniani, dei veri specialisti, nonostante davanti avessero in talenti brasiliani, si sono imposti e hanno ottenuto un grande successo. L’Iran infatti alla fine ha battuto il Brasile 2 a 1 e si è aggiudicato il trofeo per la quarta volta. Da Teheran, però, le reazioni non hanno tardato ad arrivare. E sono state come capita in questi giorni di proteste molto pesanti e roboanti.
La tv di Stato ha interrotto la diretta dopo gli inni e il comitato di Beach soccer della Federcalcio iraniana ha fatto sapere che chi ha tenuto comportamenti politici in campo subirà le conseguenze previste dai regolamenti. Alla cerimonia di premiazione i giocatori iraniani hanno alzato in silenzio il trofeo con volti cupi, senza alcuna esultanza. Un gesto che ha fatto il giro del mondo, considerato che è insolito che dei calciatori che hanno vinto non festeggino e non esultino per niente. Anzi sembravano fossero stati sconfitti, ma la verità è che molti di loro se non tutti rischiano la galera e in qualche caso la vita, tanto che alcuni di loro non vorrebbero rientrare e temono per le loro famiglie.