Proseguono le connessioni tra la Regione e Pechino su porti, logistica e parchi eolici. Sebbene la Meloni al G20 abbia invertito la rotta
Il bilaterale più delicato avuto da Giorgia Meloni al G20 è stato quello con Xi Jinping. Anche perché poche ore prima di stringere la mano al leader cinese, la Meloni aveva visto il presidente Usa, Joe Biden, che con la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, hanno rilanciato da Bali il nuovo piano da 600 miliardi di dollari per finanziare le infrastrutture alternativo alla Via della seta. La stessa Meloni due giorni prima delle elezioni aveva definito un «grosso errore» gli accordi con la Cina sulla Belt and road initiative che scadono nel 2024, che erano stati firmati nel 2019 dal governo gialloblù presieduto da Giuseppe Conte e lasciati in sospeso da Mario Draghi. Washington ha sempre frenato e cercato di compattare i Paesi europei contro l’espansione economica e commerciale di Pechino. Per Biden è essenziale preservare la sicurezza delle infrastrutture. E su questo può contare sulla Meloni, che nell’incontro di un’ora avuto con Xi ha non a caso parlato solo di interscambio commerciale nell’ottica di un aumento delle esportazioni italiane in Cina, evitando però di fare riferimento al memorandum.
L’Italia, sotto il governo Meloni, sembra dunque pronta a fare delle scelte filo occidentali e senza alcun azzardo. Ma nel Paese c’è un «feudo» che resiste ed è quello della Puglia, governata da Michele Emiliano. Il quale, mentre da una parte si oppone all’autonomia differenziata delle Regioni, accusando il ministro Roberto Calderoli di voler violare la Costituzione, dall’altra continua a gestire autonomamente il «traffico» lungo la sua Via della Seta, costruita in questi anni. Le ottime relazioni con Pechino sono state celebrate durante la prima fase dell’emergenza Covid, nel 2020, quando la Puglia ha speso 17,2 milioni per acquistare dalla Cina mascherine, ma anche materie prime per la produzione di Dpi e di macchinari e apparecchiature sanitarie. In cambio, al Dragone è stato consentito ampio margine di manovra nelle infrastrutture. A cominciare dai porti. Come quello di Taranto dove i cinesi hanno già messo un piede sempre nel 2020 – e sempre ai tempi del governo Conte – con l’accordo per l’insediamento di Ferretti group, il costruttore di barche di lusso controllato dalla società statale cinese Weichai, nell’area «ex yard Belleli».
Taranto è strategica e non soltanto per la Nato
Taranto è un porto strategico per l’Italia e non soltanto. Infatti, ospita la base Nato che controlla una parte rilevante del Mar Mediterraneo. Ecco perché sono sempre accesi i fari sia del Copasir sia della diplomazia e dell’intelligence statunitense. Lo scorso 2 settembre, il ministero delle Infrastrutture al tempo ancora guidato da Enrico Giovannini, Fs, Rfi, Regione Puglia e Autorità di sistema portuale dello Ionio hanno firmato un protocollo d’intesa per studiare la possibilità di lanciare nel porto di Taranto un treno a levitazione magnetica dedicato al trasporto di merci e passeggeri. Il sistema farebbe uso di tecnologie come quella fornita dalla Hyperloop, che nel 2019 ha stretto una partnership con Hhla, la società che gestisce il terminal del porto di Amburgo su cui hanno investito di recente i cinesi di Cosco. Nella logistica servono, infatti, i porti ma anche le ferrovie per il trasporto delle merci.
Settore in cui opera la società barese Gts della famiglia Muciaccia (che compare tra i finanziatori, con 4.000 euro, dell’associazione «Piazze d’Italia», che ha supportato il centrosinistra e la rielezione di Emiliano). Gts ora sta rilanciando lo scalo merci di Surbo, in provincia di Lecce, grazie anche a un finanziamento di 10 milioni dalla Regione Puglia. Ma qualche anno fa ha siglato anche un accordo con il gruppo di trasporti marittimi Cosulich, agente in Italia della Cosco.