L’identità è stata svelata da alcuni giornali bosniaci e sta sollevando un bel putiferio perché girano anche le brutte foto del maltrattamento dei cadaveri
Quando il passato torna e travolge tutto e tutti. Quand’era brutale sul serio e credeva nella pulizia etnica scorrazzando per la Bosnia assieme alle Tigri di Arkan, il lanciagranate a tracolla, a Srdjan Golubovic piacevano tanto le moto Suzuki. Ora che ha la pancetta e crede d’essersi ripulito la coscienza, Golubovic preferisce altri modelli: per esempio l’Agusta Brutale S1078 – «cattiva e ostile», scrive nei post –, con cui gira il weekend su e giù fra Vracar e Belgrado. Indisturbato, scrive il Cor Sera che riprende il pezzo e la storia del giornale Rolling Stone. Inosservato. Impunito. «Perché quell’uomo è libero di vivere come vuole?», si chiede indignata Alma Sabanovic: trent’anni fa, quell’uomo diventò una simbolica foto pubblicata su Time e replicata milioni di volte. L’immagine mostruosa della guerra. L’icona dell’angoscia. Un ricordo nero, come il miliziano moribondo di Capa o il vietcong giustiziato alla tempia per le vie di Saigon.
Nella famosa foto si vede Golubovic con un paio d’occhiali bianchi sulla fronte, in una mano il fucile e nell’altra una rilassante sigaretta da turista dell’orrore, il piede sollevato e leggiadro come in una scena d’Arancia Meccanica, pronto a tirare un calcio in testa a una donna appena ammazzata. La donna si chiamava Tifa Sabanovic ed era la mamma di Alma. Lo scatto era del 2 aprile 1992. Il luogo era Bijeljina, dove in quei giorni si consumava la pulizia etnica sulla pelle di centinaia di musulmani: un massacro di dimensioni tali da spingere l’allora presidentessa serbo-bosniaca – la terribile Biljiana Plavsici, una che è stata condannata all’Aja e oggi se ne va libera e serena per le vie di Belgrado – a baciare commossa il capobanda Arkan davanti alle telecamere. «Quando ho visto che cos’hanno fatto le tue Tigri a Bijeljina – gli disse -, ho pensato: ecco i veri eroi serbi!». Nessuno ha mai chiesto conto a Golubovic di quel calcio ai cadaveri.
La vecchia Tigre, che gli amici chiamavano Capitano Max, ora s’è riciclato disc-jockey col nome d’arte “Dj Max”
La vecchia Tigre, che i suoi complici chiamavano Capitano Max, dopo trent’anni s’è riciclato disc-jockey col nome d’arte «Dj Max». Una second life. «Dj Max» marcia spedito nelle serate e spara le hit. E senza incubi, men che meno rimorsi, fa ballare spensierata e ignara la meglio gioventù serba. Ci sono Tigri che speriamo s’estinguano per sempre. Quella soldataglia, che nei macelli anni ’90 era famosa per la dotazione d’un affilato cucchiaino utilissimo a cavare gli occhi delle vittime, spesso ancora vive, ha avuto il comune destino di non essere mai finita a processo e di non aver mai fatto un giorno di galera.
Il capobranco Arkan, l’ammazzarono un pomeriggio del 2000 all’Intercontinental di Belgrado. Le altre belve han preso sentieri diversi: chi è finito a lavorare nello staff dell’attuale presidente serbo Vucic, chi s’è fatto asceta con la croce e il barbone dei monaci ortodossi, chi ha complottato per altri assassinii, chi s’è dedicato a una carriera d’attore nelle fiction tv, chi s’è fatto ammazzare da qualche clan rivale. Golubovic ha comprato un cane boxer e una villetta nella natia Vracar, s’è sposato, ha fondato la casa.