Michael Jordan: 60 anni, da campione a leggenda globale

Cifra tonda per il compleanno di uno degli atleti più grandi di sempre, capace di innalzare il basket ad un livello mai raggiunto prima, icona assoluta della NBA e mito senza tempo per lo sport mondiale 

Compie 60 anni Michael Jeffrey Jordan, leggendario giocatore di basket considerato da molti il più grande della storia della palla a spicchi. Star assoluta della lega professionistica americana, ha cambiato il modo di intendere uno sport. Un palmares inarrivabile non basta per spiegare quello che ha rappresentato per intere generazioni.

Michael Jordan compie 60 anni – Notizie.com – Ansa foto

Sei titoli di campione Nba, due ori olimpici, un titolo universitario, cinque volte most valuable player del campionato nordamericano e sei delle finali, 14 volte All Star, Rookie dell’anno nel 1985. Unico a essere votato nella stessa stagione miglior difensore della lega e miglior giocatore in assoluto. Uno dei pochissimi ad aver vinto tre anelli di fila: 1.099 le partite in cui ha segnato almeno 20 punti, cinque quelle in cui ha superato quota 60.

Il signore del basket

C’è stato un prima e c’è stato un dopo MJ. Inutile girarci intorno, soltanto chi ha avuto la fortuna di vederlo giocare  dal vivo o in televisione, può capire cosa ha davvero rappresentato Michael Jordan per il basket e per lo sport in assoluto. Un alone leggendario che ancora oggi, che compie i suoi primi sessant’anni, ci fa emozionare soltanto a ripensare a quegli anni, a quelle partite, a quelle sfide memorabili che, soprattutto grazie alle sue prestazioni, sono diventate leggendarie. Jordan ha conquistato sei titoli con i Chicago Bulls, riuscendo per ben due volte nell’impresa del “three-peat”, vale a dire vincere tre campionati in tre anni consecutivi. È stato Mvp di tutte e sei le finali che ha giocato e ovviamente vinto, e annovera anche cinque titoli di Mvp dell’Nba e 14 convocazioni all’All-Star Game. Ha vinto anche due ori olimpici, con i “Dream Team” del 1992 e 1996. Impossibile credere che un’icona del genere oggi spenga 60 candeline, nella mente di tutti c’è ancora quell’acrobazia impossibile anche da pensare, figuriamoci da realizzare, per quel canestro impossibile o quel “The Last shot” che regalò il più incredibile titolo NBA nel 1998 ai Bulls contro gli Utha Jazz, per una giocata diventata iconica. Cartoline della mente, fotografie per gli occhi, ricordi per il cuore che ancora oggi emozionano e che per questo innalzano Jordan lassù tra gli dei del basket.
Jordan in azione braccato dagli avversari – Notizie.com – Ansa foto

“Quello non era Jordan, ma Dio travestito da Jordan”

Si discute spesso in tutti gli sport su chi sia il più grande di sempre in quella disciplina, Pelè o Maradona, Alì o Tyson, Schumacher o Fangio, Federer o Nadal, su Michael Jordan nessuno ha mai avuto dubbi. Altri potrebbero superare i suoi numeri, infrangere uno dei suoi mille record, ma nessuno cambierà il basket come lo ha cambiato lui. Un personaggio di caratura mondiale apprezzato e amato anche dagli avversari, con un coinvolgimento globale in un’epoca dove internet era agli albori e i social non esistevano proprio. Ma Jordan era il Dio del basket comunque per tutti. La famosa silhuette del corpo di Jordan nell’atto di effettuare una schiacciata, il cosiddetto logo “Jumpman”, è diventato parte dell’iconografia popolare come simbolo della linea Air Jordan di Nike, un marchio, un modello, ancora oggi il più venduto al mondo. MJ ha reso l’NBA e lo sport professionistico ciò che sono oggi a livello globale.

Prima dei contratti milionari, delle dirette televisive e del valzer degli sponsor, pochi fuori dagli Stati Uniti seguivano sui media le partite dell’NBA. Poi arrivò lui. A Chicago gli hanno dedicato una statua che è una delle attrazioni più visitate e anche tra gli aborigeni è possibile imbattersi in qualcuno con la canottiera 23 dei Bulls, una maglietta, ad esempio, quella indossata da Michael Jordan in occasione dell’ultimo titolo NBA vinto, nel 1998, battuta da Sotheby’s per 10,1 milioni di dollari. Al termine di una partita dei playoff al Boston Garden, vinta da Chicago grazie ai 63 punti di Jordan contro i Celtics, qualcuno a fine partita commentò: “Quello non era Jordan, ma Dio travestito da Jordan”. Quel qualcuno era Larry Bird.

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