Mogol torna ancora a parlare del suo amico e collega Lucio Battisti e chiarisce il suo rapporto con i comunisti di cui tanto si è parlato.
Non è certamente necessario ricordare il legame artistico e di amicizia che per tanti anni ha legato Mogol a Lucio Battisti, i due oltre a volersi molto bene con le loro canzoni hanno segnato una tappa fondamentale della musica italiana, rimasta indelebile, ancora oggi che sono passati molti anni, per tantissime generazioni di persone.
Ebbene, oggi il grande musicista e scrittore è tornato ancora una volta a parlare del mai dimenticato cantante italiano, scomparso troppo presto, toccando un argomento di cui tanto in passato si è discusso, ovvero il suo rapporto con la politica e con i comunisti.
“Non ho mai sentito Lucio parlare di politica: semplicemente non scrivevamo canzoni per il comunismo. Però i dischi di Lucio vennero trovati nel covo delle Br: è un fatto storico” sono queste alcune delle sue parole rilasciate per il Corriere della Sera a ridosso di quello che sarebbe stato il suo ottantesimo compleanno.
Mogol su Lucio Battisti: “Prese la cosa troppo sul serio”
Si torna ancora una volta a parlare di Lucio Battisti e a farlo è proprio il paroliere Mogol che con il grande artista ha scritto tantissime canzoni rimaste immortali per la musica italiana, l’occasione è quella di celebrarlo proprio a ridosso del suo compleanno che lo avrebbe portato a compiere 80 anni.
Nella sua lunga intervista per il Corriere della Sera, Mogol, che qualche giorno fa è stato nominato consulente per la cultura popolare dal ministro Sangiuliano, ha ammesso: “Una giornata uggiosa, il brano parla del rifiuto di “ideologie alla moda. Era una risposta al clima di allora. Uno come me rischiava… si sparava. Si arrivò a fare un processo pubblico a De Gregori, uno da pugno alzato, perché guadagnava facendo il cantante. Per evitare gli insulti consigliai a Lucio di non fare più concerti”. Battisti forse lo prese un po’ troppo sul serio: “Non tornò a esibirsi nemmeno quando il clima cambiò. Credo che capì, anche se non me lo ha mai confessato, che questo l’avrebbe reso un mito”.
Insomma una vera e propria smentita la sua che in qualche modo vuole, dopo tanti anni, mettere una pietra sopra a chi in quel periodo pensava che Lucio Battisti con le sue canzoni volesse fare politica e ancora: “Il mio canto libero” e “La collina dei ciliegi? Quelle braccia non erano un simbolo politico. Lo hanno detto anche per quelle della copertina di Il mio canto libero. Ma sono braccia con i palmi aperti come per un’invocazione al signore. Volevano darmi del fascista perché non facevo canzoni impegnate”.