Il tennista numero uno al mondo rilascia una bellissima intervista al CorSera dove spiega pregi e difetto dell’uomo e del tennista
E’ il tennista più forte che c’è in circolazione, non da adesso, ma da anni. Certo nella sua strada ha incontrato due mostri sacri come Nadal e Federer, ma è riuscito ugualmente a spiccare e a diventare il numero uno al mondo (ora è tallonato dal giovane Alcaraz di soli cinque punti, 6775 contro i 6770 dello spagnolo ndr) incontrastato da parecchio tempo. E questo non fa che aumentare la sua classe e quello che sta rappresentando nel mondo e nella storia del tennis. E’ amato e odiato al tempo stesso, ma la sensazione è che se Novak Djokovic si mostrasse di più e venisse fuori il suo lato umano, tanti ne rimarrebbero affascinati e colpiti. E’ un po’ quello che è successo nella bella e lunga intervista che il campione serbo ha rilasciato al Corriere della Sera. Già sapere quanto lingua parla in modo corretto è già impressionante: “Inglese, francese, italiano, spagnolo. Da ragazzo anche tedesco, ma è un po’ che non lo pratico…“, risponde il tennista col sorriso
Curioso, neanche tanto strano, che in campo Nole pensi in serbo, ma con una particolarità a noi molto cara: “In campo penso in serbo, mi arrabbio in serbo, gioisco in serbo, mi vergogno in serbo. Anche se con lo staff, quando non voglio farmi capire dagli altri, parlo in italiano. Del resto sono quasi tutti italiani: Edoardo ed Elena i manager, Claudio il fisioterapista, Marco il preparatore atletico…il portoghese? Me la cavo anche con l’arabo e il cinese. È una questione di rispetto per il Paese. Quando vedono che ti sforzi, apprezzano. Più lingue sai, più valore hai. Non dico come uomo; intendo il valore delle relazioni, la ricchezza dell’amicizia“.
“A dieci anni incontrai un lupo, mi spaventò da morire, ma ci sono ancora in connessione…”
E veniamo ai ricordi, di quanto era piccola e un incontro ha cambiato per sempre la sua vita. No non si tratta del suo mentore, ma di un altro tipo di incontro che gli ha segnato il carattere e tutto quello che è oggi a trentacinque anni. “La montagna. Kopaonik, nel Sud della Serbia. Mio padre mi portava con sé a sciare, avvolto in una sciarpa, quando avevo sette mesi: questo ovviamente me l’ha detto lui, non sarebbe un ricordo ma un trauma…Un giorno ero solo nella foresta, avrò avuto dieci anni, e ho incontrato un lupo. Provai una paura profonda. Mi avevano detto che in questi casi bisogna indietreggiare lentamente, senza perderlo di vista. Ci siamo guardati per dieci secondi, i più lunghi della mia vita; poi lui ha piegato a sinistra e se n’è andato. Provai una sensazione fortissima che non mi ha mai abbandonato: una connessione d’anima, di spirito“.
Per Djokovic la vita non è una coincidenza, lui non ci crede affatto, pensa al destino e quello che succede è già scritto. Lo spiega bene e in maniera profonda, tanto da restare impressionati da alcune frasi che sceglie per descrivere se stesso e il suo stato d’animo. “Non ho mai creduto alle coincidenze, e pure quel lupo non lo era. Era previsto. È stato un incontro breve, ma molto importante. Perché il lupo simboleggia il mio carattere. Sono molto legato alla mia famiglia, e cerco di essere disponibile con tutti; ma a volte devo stare da solo. Spesso nella vita mi sono ritrovato solo. Solo con la mia missione, con i miei obiettivi da raggiungere. Sono rimasto connesso con quel lupo. Anche perché il lupo per noi serbi è sacro. È il nostro animale totemico. È il simbolo di una tradizione nazionale, di una fede ancestrale che precede il cristianesimo. Una religione prima della religione”