In attività da oltre settant’anni, il vulcano dei Campi Flegrei sta mandando segnali di importanti cambiamenti, che mettono in guardia ricercatori e scienziati.
Secondo un recente studio dell’UCL e dell’INGV, la crosta della caldera nella zona vulcanica dei Campi Flegrei si sta sensibilmente indebolendo e ora, l’esigenza di monitorare la situazione per valutarne la pericolosità, comincia a farsi urgente.
La situazione è piuttosto delicata e i ricercatori non eslcudono la possibilità di un eruzione preceduta da segnali difficilmente prevedibili. La città di Pozzuoli trema e continua ad alzarsi per via dell’attività vulcanica.
La ricerca mette in guardia
L’analisi è stata pubblicata su “Communications Earth & Environment” da Christopher Kilburn, professore di Vulcanologia all’ University College London (UCL), Stefano Carlino, ricercatore dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia – Osservatorio Vesuviano (INGV-OV), Nicola Alessandro Pino, primo ricercatore INGV-OV e da Stefania Danesi, primo ricercatore INGV Sezione Bologna. Sebbene dalle rilevazioni sia evidente un indebolimento della crosta, è accuratamente precisato che “al momento i risultati della ricerca non hanno alcuna implicazione diretta su misure che riguardano la sicurezza della popolazione”. Nonostante ciò, i ricercatori hanno comunicato un importante cambiamento nel comportamento della crosta della caldera flegrea, che sarebbe passata da una fase elastica ad una inelastica.
Il vulcano, dopo una lunga fase dormiente (l’ultima eruzione è databile 1538), si è risvegliato agli inizi degli anni 50 e da allora, con intensità diverse per ogni decennio, è rimasto in continua attività, causando svariati piccoli terremoti e un innalzamento di ben 4 metri della città costiera di Pozzuoli. Il protagonista vero di questa ricerca, il professor Christopher Kilburn, ha affermato: “Il nostro nuovo studio conferma che i Campi Flegrei si stanno avvicinando alla rottura. Tuttavia, questo non significa che un’eruzione sia garantita. La rottura può aprire una crepa attraverso la crosta, ma il magma deve ancora essere spinto verso l’alto nel punto giusto perché si verifichi un’eruzione. Questa è la prima volta che applichiamo il nostro modello, che si basa sulla fisica di come le rocce si rompono, in tempo reale a qualsiasi vulcano. Il nostro primo utilizzo del modello è stato nel 2017 e da allora i Campi Flegrei si sono comportati come previsto, con un numero crescente di piccoli terremoti che indicano una pressione dal basso”.
La caldera sarebbe in subbuglio a causa di movimenti fluidi situati a circa 3 chilometri di profondità e secondo alcuni autori della ricerca, l’origine dell’impressionante sollevamento sarebbe da ricercare nelle acque termali, tuttavia non è da escludere a priori la presenza di un contributo magmatico. Da sottolineare che secondo gli esperti, questi fenomeni sono cumulativi e, di conseguenza, dagli anni 50 in poi si potrebbe essere accumulata un’energia tale da causa un eruzione piuttosto improvvisa, che sarebbe preceduta da segnali deboli.
L’eruzione potrebbe essere improvvisa
Secondo Stefano Carlino (INGV-OV) “Lo studio evidenzia che, nonostante il livello del suolo raggiunto oggi sia superiore di oltre 10 cm a quello raggiunto durante la crisi bradisismica del 1984, la deformazione inelastica sta avvenendo con un livello di sforzo inferiore rispetto al 1984. Questo risultato suggerisce che, nel corso degli episodi di sollevamento della caldera dei decenni passati si sono progressivamente prodotte modifiche dello stato fisico della crosta e che questi cambiamenti non possono essere trascurati nello studio della dinamica vulcanica in atto e nelle sue evoluzioni future”. Difatti, il passaggio da regime esastico a quello inelastico, rappresenta un cambiamento rilevante nell’analisi dei rischi, poiché la capacità di resistenza alla trazione e quindi la sforzo sopportabile prima della rottura, sarebbe un terzo rispetto a quella registrata nel 1984.
Nicola Alessandro Pino dell’Osservatorio Vesuviano dell’INGV (INGV-OV) ha concluso con una prospettiva per il futuro: “I nostri risultati sono basati sull’elaborazione di un modello scientifico in cui i parametri osservati permettono di ipotizzare scenari di evoluzione della fratturazione delle rocce e quindi della sismicità. Nello scenario più critico, la persistenza del regime inelastico potrebbe portare alla rapida fratturazione degli strati crostali più superficiali, con precursori che potrebbero essere meno intensi di quanto generalmente attesi in caso di risalita di magma. Tuttavia, la riattivazione progressiva e diffusa di fratture potrebbe causare la depressurizzazione del sistema idrotermale, con arresto del sollevamento del suolo e, quindi, la ripresa della lenta subsidenza”.