Chiara Francini colpisce ancora la sinistra radical chic e, stavolta, è arrivata la pungente definizione dei “mancini”.
La svolta letterario-intellettuale di Chiara Francini ha stupito l’Italia, che si è trovata ad assistere ad alcune dichiarazioni dell’attrice particolarmente efficaci e divisive.
Se l’ultima volta, ospite a Cartabianca, la Francini aveva infuocato i social con la sua definizione dei “sinistri”, stavolta, sempre da Bianca Berlinguer, si è parlato dei “mancini”, di cui parla nel suo nuovo libro.
Chi sono i mancini?
Avendo frequentato per anni l’ambiente cinematografico, l’attrice ha potuto sperimentare sulla sua pelle le tendenze della sinistra “colta” e arricchita che popola i set: una supposta élite che difficilmente fa coincidere i propri ideali, con il proprio stile di vita. In poche parole, i comunisti con il Rolex. I mancini poi, sembrerebbero un’ulteriore categoria, più onesti ma altrettanto menefreghisti: “I mancini sono degli arricchiti che si fregiano di essere ricchi. A loro non frega nulla di sembrare colti, vogliono solo apparire ricchi. Si dicono spesso molto cattolici e si vestono come se avessero sputato loro addosso un manichino di un negozio dei Parioli. I mancini sono palesemente più onesti, si comprano case grosse, fanno cene grosse, frequentano persone grosse, cioè potenti, per poterci schizzare in faccia i loro pantaloni con il risvoltino e i loro aperitivi su terrazze abusive costruite con le pietre dell’Appia Antica e dotate di piscine che quando sono a prendere il sole d’estate, perché il bagno è troppo lontano, ci pisciano dentro ‘Tanto si ricicla e poi è tutta acqua mia’”.
Sostanzialmente una serie di individui noncuranti degli ideali a cui avrebbero riferimenti sulla carta, ma più impegnati a godersi i frutti del proprio privilegio sociale: “I mancini ricoprono spesso posizioni di rilievo anche nel cinema ma il loro modo di procedere è puro, a tratti disarmante. Se i sinistri una spolverata di ideali e due tabelline le imparano, loro no. Per loro fare un film o una serie è già cultura. E non importa se fai notare che nella Seconda guerra mondiale non c’erano le meches. Loro ti guardano come cani intelligenti e ti sorridono, perché loro sono spesso factotum: scrivono, dirigono, producono e montano. E anche fuor di metafora”. Parole dirette, che di fatto squarciano un ampio velo di ipocrisia che avvolge il mondo dello spettacolo nel bel paese.