In un’intervista al Corriere dello Sport, l’ex attaccante della Lazio ha parlato del vecchio amico recentemente scomparso
Amici da una vita, compagni di squadra ai tempi della Lazio, in una lunga e commovente intervista rilasciata al Corriere dello Sport (di cui riportiamo solo un piccolo estratto), Bruno Giordano ha ricordato Vincenzo D’Amico: “Le parole sono un casino. Cinquant’anni di vita, di amicizia, di appartenenza. Vincenzo era un buono. L’invidia e la cattiveria non sapeva dove fossero di casa. Era un puro, sincero, affettuoso con i figli, con me, con i miei figli. Sono stravolto dal dispiacere. Va raccontato per quello che è stato come persona, non solo in campo“.
E Vincenzo D’Amico era una persona speciale, sempre con la battuta pronta e capace di usare con intelligenza l’arma dell’ironia: “Giusto, ma sempre con intelligenza. Non era un superficiale. Non vorrei fosse ricordato come Peter Pan e basta. Aveva due palle così, altrimenti a 18-19 anni non sarebbe riuscito a prendersi il posto nella Lazio di Maestrelli. E poi doti tecniche straordinarie, che nessuno gli potrà mai levare. Penso a Beccalossi, Antognoni, Sala, Causio, Bruno Conti: i mostri sacri. Alcuni di loro potevano forse possedere più corsa e dinamismo, ma come classe cristallina e talento, penso Vincenzo fosse superiore. Dopo Maradona, è quello che più mi ha fatto divertire e con cui mi ha dato più gusto giocare. Glielo dicevo sempre: ‘Dopo Diego, ci sei te’. Bastava niente sul campo per capirsi. Intesa naturale, spontanea”.
Bruno Giordano e il ricordo di D’Amico
Giordano ricorda poi l’episodio dei tre rigori sbagliati: “A volte qualche cazzata l’abbiamo fatta anche noi. Ricordo una discussione in campo per una punizione e poi, a distanza di qualche anno, quei tre rigori ripetuti e sbagliati in Lazio-Napoli (3-2 il 21 aprile 1984). Lui voleva tirare, gli dissi di no, ma sbagliai due volte. Agnolin li fece ripetere e Vincenzo sbagliò il terzo. Ci abbiamo scherzato sopra una vita. Gli ho sempre detto di aver sbagliato l’unico certificato, i primi due non contavano”.
Un piacere giocare con lui: “Per dieci anni abbiamo giocato me lo sono goduto, giocando insieme a lui tantissime partite. Ricordo quella con il Boavista, fece qualcosa di sensazionale. Ci deliziava. Era abituato ad andare sul fondo e dentro l’area, con quel modo di fintare e di ritardare il cross. All’inizio gli dissi. “Non capisco quando metti il pallone”. Poi ho cominciato a comprendere quando era il momento in cui stava per dare l’assist e lui capì i miei movimenti. Nacque un’intesa meravigliosa. A Catania, segnai uno dei gol più belli della mia carriera, grazie a un suo assist. Vincenzo, quando c’era bisogno, si metteva la maglia e andava a sfidare tutti. Esisteva una simbiosi. Gli piaceva giocare e divertirsi, soprattutto con la maglia della Lazio. Ci aveva aperto le porte dello spogliatoio, il nostro passepartout. Parlo di me, di Agostinelli e di Manfredonia. Eravamo i più giovani e ci eravamo aggrappati a lui, il più vicino di età“.