Marcello Dell’Utri ha raccontato in un’intervista la sua reazione al generoso lascito di Silvio Berlusconi (30 milioni) e lo svolgimento del rapporto con il Cavaliere.
Un’amico sin dall’inizio, un collaboratore fidato per anni, questo fu Marcello Dell’Utri per Silvio Berlusconi, che nel suo testamento ha indicato di voler lasciare un bottino di 30 milioni di euro al suo amico.
“Quando il notaio Roveda mi ha chiamato alle sette del mattino e mi ha detto Berlusconi le ha lasciato 30 milioni, mi sono messo a piangere”, queste le parole durante un’intervista al giornale, in cui Dell’Utri racconta gli inizi e lo svolgimento del rapporto di amicizia e di lavoro avuto con il Cavaliere.
Gli inizi all’università
Dell’Utri parte dal vero e proprio inizio, dagli anni dell’università, dove conobbe quello che sarebbe diventato uno degli uomini più influenti della storia della Repubblica italiana: “Iniziavo l’università sul finire degli anni Sessanta. Dovevo venire a Milano e non conoscevo nessuno. Un amico oggi sacerdote, don Bruno Padula, mi telefona e mi dice: Ti do il numero di un mio amico, è un po’ gasato ma è bravissimo e si è appena laureato. Ti auterà. Così mi sono presentato in via Mercato 5, dove Silvio aveva appena aperto gli uffici dell’Edilnord, e l’ho incontrato”. Ecco le prime collaborazioni tra i giovani Silvio e Marcello: “Berlusconi aveva grandi capacità di sintesi e di ogni esame preparava gli appunti ciclostilati che vendeva in una copisteria di via Festa del Perdono, davanti alla Statale. Mi ha regalato l’opuscolo che mi serviva per il primo esame, filosofia del diritto”.
Un’amicizia da subito forte e piacevole per un Dell’Utri inizialmente impaurito da una Milano frenetica e caotica: “Mio padre mi diceva sempre: Sai, a Milano ti tratteranno in modo sbrigativo, non è come qui a Palermo. E invece si sbagliava”, prosegue, “Silvio mi invita a cena a casa sua, in viale Zara, dove abitava, e mi fa conoscere tutta la famiglia: il padre, la madre, Paolo e la sorella Maria Antonietta. Mi sono trovato benissimo e siamo diventati amici”. Dell’Utri passa poi alla prima reale collaborazione lavorativa, descrivendo il momento più importante della loro alleanza: “Per me senz’altro quando nel 1981 mi ha chiamato e mi ha messo alla testa di Publitalia, la macchina per la raccolta pubblicitaria delle sue tv. Quella è stata un’opportunità decisiva che mi ha regalato”.
Il rapporto con la mafia
Sulle controversie legali, legate ad una supposta collaborazione con la mafia, Dell’Utri specifica: “Mi hanno massacrato, ma si sono inventati tutto. La verità è che cercavamo ad Arcore qualcuno che avesse dimestichezza con i cavalli e non lo trovavamo. A un certo punto, mi viene in mente Mangano che per quanto mi riguarda non era un mafioso ma quel che serviva al caso nostro. L’ho chiamato a Palermo e gli ho chiesto se in Sicilia c’era qualcuno che avesse familiarità con i cavalli, in grado di venire a Milano e seguire la scuderia”. E la risposta di Mangano fu “se è Berlusconi, mi ha risposto, vengo io. Era il giugno 1974 e Mangano ha portato ad Arcore tutta la famiglia. Dopo sei mesi, a dicembre, se n’è andato. Anche se poi ho letto cose incredibili: per qualche giornale è rimasto da noi due anni. Tutte panzane”.
Sempre sulla questione mafia, Dell’Utri nega incontro con il boss Bontante, che fu confermato da un verdetto irrevocabile della Cassazione: “Ma chi l’ha mai visto. Non c’è niente di vero”. E sul verdetto irrevocabile ci tiene a specificare: “Un attimo. Io dieci anni fa ho fatto ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo e spero che presto, prestissimo, Strasburgo annulli questo verdetto e la pena che peraltro ho finito di scontare”.
L’uomo Berlusconi e Forza Italia
Dell’Utri racconta chi era per lui SIlvio Berlusconi: “L’ho capito quando è morto. Mi è cascato il mondo, perché Silvio mi dava la carica, aveva un’energia straordinaria, era ottimista, era generoso, era sempre disponibile. Quando ero giù, mi diceva: Dai, vieni ad Arcore, mangiamo e stiamo insieme un po’. Così per una vita”. Il racconto dell’ex politico si dipana poi nelle vicende politiche: “Il pentapartito era franato e non si trovava nessuno che volesse continuare quell’esperienza moderata. Lui si dannava, andò a parlare da Segni, da Martinazzoli, ma niente, nessuno si faceva avanti per contrastare i postcomunisti che parevano destinati a conquistare il potere”. A quanto pare, Silvio non aveva alcuna intenzione di fare da leader in prima persona: “fino all’ultimo si ostinò a cercare un candidato leader, ma non saltava fuori nessuno, niente di niente. E un bel giorno si scocciò. Mi disse ‘Sai che facciamo? Lo facciamo noi il partito. E io gli chiedo: E come si fa? E che ne so? Lo fanno tutti lo facciamo anche noi’”.
Dell’Utri prosegue, raccontando la formazione e parlando del futuro di forza Italia: “Così è nata Forza Italia ed è venuta al mondo la doppia coalizione: la Lega al Nord e Alleanza nazionale al Centrosud. Subito dopo mi ha dato l’incarico di individuare i possibili candidati pescandoli dal meglio di Publitalia. Avevo il divieto di cercare fra i politici e allora mi sono messo all’opera fra i miei quadri e dirigenti”. Sul futuro di Forza Italia: “Sopravvivrà . È quello di cui Berlusconi si è occupato negli ultimi giorni della sua vita, anche se nessuno pensava ad una fine imminente, e io immaginavo che sarebbe stato lui a declamare il mio elogio funebre”. Dell’Utri racconta l’ultimo colloquio avvenuto con il Cavaliere su Forza Italia: “Tre giorni prima di morire, mi ha spiegato che stava ripensando il partito e mi ha chiesto di occuparmi della selezione dei candidati. Tu capisci le persone, sai scegliere, sai valutare. Insomma, aveva in testa le nuove regole del partito e so che ha girato queste sue considerazioni e intuizioni a Tajani che ne farà tesoro per il futuro”.
Cosa succederà ai 30 milioni?
La questione dei 30 milioni continua a far discutere, ma Dell’Utri sembra piuttosto sereno e disinteressato alla cifra in se: “È presto per pensarci. Qualcosa andrà sicuramente alla biblioteca che sta nascendo su mio impulso nella Valle dei Templi ad Agrigento. Sarà la biblioteca più importante di testi pubblicati in Sicilia e libri sulla Sicilia. È un progetto che è partito tre anni fa e che deve essere pronto per l’anno prossimo: nel 2025 Agrigento sarà la capitale della cultura, un’occasione imperdibile. Ma in ogni caso, la mia è una donazione modale: è legata alle condizioni che ho posto, necessarie per arrivare a risultati importanti. Ci saranno master e un laboratorio per il restauro dei volumi e della carta”, conclude dicendo che “ma la mia vita ormai è questa e non cambierà. Aspettiamo, quando sarà il momento ci penserò”.