Il primo discorso del Pontefice giunto in Mongolia ha un argomento ben preciso, quello della pace. “Passino le nuvole oscure della guerra”, ha detto il Papa a Ulan Bator, capitale di quella che fu la terra del grande condottiero Gengis Khan. “Voglia il Cielo che sulla terra, devastata da troppi conflitti, si ricreino anche oggi, nel rispetto delle leggi internazionali, le condizioni di quella che un tempo fu la pax mongolica, ossia l’assenza di conflitti”.
Le prime parole pronunciate da Bergoglio fanno subito emergere la vera motivazione che ha spinta per la prima volta nella storia un Pontefice a recarsi in questa terra, a metà tra Russia e Cina.
Nel primo saluto alle autorità mongole, subito Francesco ha sottolineato che il suo arrivo coincide con “un anniversario per voi importante”. Vale a dire gli 860 anni dalla Gengis Khan, il grande condottiero mongolo che nel Duecento pose il suo impero al centro del mondo, rendendolo il “più vasto di sempre”. Dopo avere descritto però le caratteristiche, antiche e moderne allo stesso tempo, di questo grande impero, il Pontefice subito riporta l’attenzione su quella che è senza dubbio, oggi, la sua più grande preoccupazione: la “terza guerra mondiale a pezzi”.
Le parole del Papa all’arrivo in Mongolia
“Come dice un vostro proverbio, “le nuvole passano, il cielo resta”: passino le nuvole oscure della guerra, vengano spazzate via dalla volontà ferma di una fraternità universale in cui le tensioni siano risolte sulla base dell’incontro e del dialogo, e a tutti vengano garantiti i diritti fondamentali! Qui, nel vostro Paese ricco di storia e di cielo, imploriamo questo dono dall’Alto e diamoci da fare insieme per costruire un avvenire di pace”, ha detto Bergoglio nella sala “Ikh Mongol” del Palazzo di Stato, rivolgendosi però non solamente ai presenti ma al mondo intero.
Bergoglio ha parlato nel mattino mongolo, che corrisponde però alla notte italiana. Il Palazzo di Stato, quello in cui è stato ospitato il Papa per l’importante visita, si trova al centro della capitale, nella Sükhbaatar, l’uomo che dichiarò l’indipendenza dalla Cina un secolo prima. Il Papa lo sottolinea subito, apertis verbis: “la Mongolia di oggi, con la sua ampia rete di relazioni diplomatiche, la sua attiva adesione alle Nazioni Unite, il suo impegno per i diritti umani e per la pace, riveste un ruolo significativo nel cuore del grande continente asiatico e nello scenario internazionale”.
Importante anche la “determinazione a fermare la proliferazione nucleare e a presentarsi al mondo come Paese senza armi nucleari”, che rende “la Mongolia non è solo una nazione democratica che attua una politica estera pacifica, ma si propone di svolgere un ruolo importante per la pace mondiale”. La storia delle relazioni diplomatiche tra il Paese e la Chiesa riporta a otto secoli prima, ma da allora i missionari cattolici vi tornarono solamente con la caduta del comunismo e la fine dell’Urss. Ma il merito dei mongoli, sottolineato dal Papa, è quello di essere riuscita a “la Mongolia non è solo una nazione democratica che attua una politica estera pacifica, ma si propone di svolgere un ruolo importante per la pace mondiale”.
Insomma, pace, libertà religiosa, armi, tutti argomenti che segneranno in maniera profonda la visita di Francesco, dal 31 agosto al 4 settembre. Dopo la cerimonia di benvenuto, in cui c’è stata la visita di cortesia al presidente, l’incontro con le Autorità e con il presidente del Grande Hural di Stato e il primo ministro, il Papa ha incontrato vescovi, sacerdoti, missionari, consacrati e operatori pastorali, nella cattedrale dei Santi Pietro e Paolo ad Ulaanbaatar. Una struttura estremamente caratteristica, che ricorda la tradizionale ger, tipica abitazione dei popoli nomadi mongoli. In quei minuti di confronto, una suora, un sacerdote mongolo e un’operatrice pastorale hanno ripercorso le loro storie, dando un’immagine reale di ciò in cui consiste la missione della Chiesa nel Paese asiatico. Nel mentre, però, è tutta la piccola comunità cattolica della Mongolia ad abbracciare Papa Francesco, con i loro canti e la gioia di un popolo vivo e pieno di entusiasmo e speranza.