L’attivista Daemi e il Premio Nobel: “Io e lei insieme in cella contro il regime”

La famosa attivista iraniana racconta della sua esperienza con Narges Mohammadi, appena nominata dalla commissione di Stoccolma

Atena Daemi e Narges Mohammadi, dissidenti, prigioniere nel carcere di Evin, a Teheran, e amiche e sorelle per sempre. Per gli studenti e i giovani in Iran quel carcere è chiamato l’università, per le tante persone che ci sono da attivisti, professori, intellettuali, artisti, operai, studenti. E Atena e Narges ne facevano parte e lì hanno stretto un’amicizia perenne. “Cantavamo, ballavamo, parlavamo e litigavamo anche sulle cose politiche“, spiega Atena Daemi, tra le più note attiviste per i diritti umani in Iran. Per il suo impegno contro la pena di morte e le violazioni dei diritti umani è stata 7 anni in prigione.

L'attivista
L’attivista iraniana Atena Daemi (Facebook Notizie.com)

E la decisione di assegnare il Premio Nobel a Narges ha reso Atena euforica e felice “Narges è una donna coraggiosa e determinata. Questo premio tiene alta la voce e la richiesta di giustizia del movimento Donna, Vita, Libertà. Aumenterà le speranze degli iraniani di conquistare la libertà e il rispetto dei diritti umani”.

L'intesa
Il premio Nobel per la paca Narges Mohammadi (Ansa Notizie.com)

Il loro primo incontro, Atena lo ricorda bene, è successo quando erano in carcere tutte e due: “Nell’aprile 2015, ero detenuta a Evin, lei fu arrestata e portata nella nostra cella. Sono stata in prigione con lei per più di 4 anni. Lì e dopo il mio rilascio abbiamo condiviso un pezzo importante del nostro attivismo politico e civile. Narges è una donna determinata e gioiosa, e anche se ho criticato alcune delle sue convinzioni per me è una buona amica”.

I giorni nel carcere di Evin sono stati molto duri, ma allo stesso tempo per l’amicizia che è nata anche particolari e intensi, paradossalmente per il loro incontro, unici. “Abbiamo cantato canzoni e ballato insieme, cercavamo di rallegrare gli animi delle nostre compagne di prigionia, organizzavamo proteste e sit-in. Per questo motivo una volta ci fu data una ulteriore condanna rispetto a quella che già stavamo scontando. Leggevamo libri sui diritti delle donne e sulla storia delle lotte femminili nel mondo, parlavamo di politica e ci confrontavamo anche da posizioni diverse”

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