“Ma quanto vale la vita di una donna, dieci anni di carcere? Filippo avrà modo di laurearsi e rifarsi una vita mentre Giulia sarà in una tomba”.
Il tono di queste parole è concitato perché a parlare è una donna vittima di violenza, che a Notizie.com riserva uno sfogo ricco di rabbia e di speranza di non sentire mai più parlare di femminicidi. Si rivede in Giulia Cecchettin: “Il mio ex diceva di volersi uccidere perché l’avevo lasciato, mi aveva chiesto l’ultimo appuntamento. Anche lui non era felice dei miei successi. Proprio come Filippo, che invece di sostenere Giulia per la laurea, era diventato geloso e possessivo. Anche lei, come me, aveva sottovalutato i segnali che lui le aveva dato: segnali di dipendenza e gelosia”.
La storia di Filomena
La protagonista di questa storia è Filomena Di Gennaro, originaria di un piccolo paese della Puglia. Con una laurea in Psicologia in tasca, 18 anni fa decise di inseguire il sogno di diventare maresciallo dei carabinieri. Così si trasferì a Velletri per frequentare la scuola Allievi Marescialli e Brigadieri. Prima di partire, lasciò il suo fidanzato dell’epoca che però non voleva rispettare la sua decisione. Un giorno lui, con una pistola carica nascosta in auto, partì dalla Puglia e la raggiunse sotto casa a Velletri, dove le scaricò addosso l’intero caricatore recidendole la colonna vertebrale. Quando Filomena era a terra in una pozza di sangue, il suo comandante del corso di preparazione sparò un colpo verso l’ex della donna. Si era appostato vicino al luogo dell’incontro perché aveva colto dei segnali pericolosi da parte dell’uomo. Così le salvò la vita.
Il comandante, Peter, oggi è il marito di Filomena e insieme hanno tre figli. La sua vita è cambiata per sempre, perché è costretta alla sedia a rotelle. Da allora non ha mai smesso di andare nelle scuole a parlare agli studenti della sua storia per sensibilizzare i giovani, “perché serve un cambiamento culturale che cominci con le nuove generazioni”. Anche oggi, nel momento in cui ha ricevuto la nostra telefonata, era di ritorno da un convegno a scuola nell’ambito di un progetto in collaborazione con polizia e carabinieri.
“Con la mia storia spero di aiutare le donne”
Al telefono ripete più volte: “A me sarebbe accaduta la stessa cosa che è successa a Giulia. Lui era venuto con l’auto a prendermi. Se quel giorno io non fossi uscita un’ora prima, se non avessi deciso di incontrarlo per strada, adesso io non ci sarei più”. Da anni Filomena racconta la sua storia: “Da quel giorno sono passati 18 anni. Non smetterò mai di raccontare quello che mi è accaduto. Se anche solo una donna, attraverso le mie parole, cogliesse un campanello d’allarme, riflettesse e si salvasse, sarebbe un traguardo. Crediamo sempre che non possa accadere a noi, ma non è così: io ero laureata in Psicologia, avevo scelto di fare il carabiniere eppure non mi ero accorta di questi segnali. Bisogna creare rete”.
Filomena è sconvolta per la morte di Giulia Cecchettin e parlando di Filippo Turetta riporta il problema sul tema della certezza della pena: “La giustizia in Italia non c’è. Questa persona tra dieci anni sarà uscita dal carcere ed avrà modo di rifarsi una vita. Si laureerà, non ci sarà una punizione esemplare. Nel frattempo di Giulia ce ne saranno altre. Serve prevenzione, protezione e punizione”.
“Prevenzione, protezione e punizione: così si combatte la violenza sulle donne”
Ma come? “Prevenzione si fa con i giovani, puntando all’educazione e al rispetto di genere. È fondamentale fin da piccoli perché da grandi sarà troppo tardi. Quando parlo di protezione invece, intendo dire che dopo che hanno denunciato, le donne non devono essere lasciate sole. Punizione infine, perché servono pene certe e dure, in nome del rispetto e del valore delle donne vittime”, spiega Filomena Di Gennaro.
“Uccidere perché si ama non è una scusante, ma un aggravante”
La certezza della pena, aggiunge, è fondamentale: “In Italia le leggi ci sono. Il problema sono i giudici che decidono di dare le attenuanti. C’è un retaggio culturale per il quale questi reati vengono ancora considerati delitti d’onore. Gli uomini uccidono dicendo di amare: questa non è una scusante, ma un aggravante”.
Educazione sentimentale: “Non spetta solo alla scuola educare i ragazzi”
Il MIM ha un piano pronto per l’educazione sentimentale: “Sono assolutamente d’accordo se viene fatta bene, con dei professionisti e in collaborazione con le famiglie. Non spetta solo alla scuola educare i ragazzi. I progetti, i convegni, gli incontri, sono fondamentali per portare i ragazzi a riflettere, ma serve anche l’intervento delle famiglie e si deve agire subito”.