Nel corso di una intervista che ha rilasciato al ‘Corriere della Sera’ è intervenuto il presidente di Federacciai, Antonio Gozzi
Antonio Gozzi non ha dubbi e, soprattutto, non demorde sul fatto che l’ex Ilva ha ancora possibilità di poter essere salvata. Ne ha parlato nel corso di una lunga intervista che ha rilasciato al ‘Corriere della Sera‘ in cui ha rivelato tutti i suoi pensieri in merito. L’attuale numero uno della Federacciai lo ha spiegato con queste parole: “Può essere salvata per due ragioni. Nel caso in cui ordinassi acciaio all’ex Ilva mi arriva in 30-40 giorni. Se lo ordino in Asia viene consegnato dopo 3-4 mesi.
In tutto questo tempo il prezzo dell’acciaio può variare. Per coprirmi dal rischio che l’acciaio non arrivi in tempo, devo tenere i magazzini sempre pieni. Un onere per le imprese. Ed è per questo motivo che nessun Paese industriale rinuncia alla sua siderurgia per dipendere dagli altri”.
Poi ha detto la sua sul piano di ArcelorMittal che prevedeva 6-8 milioni di tonnellate l’anno: “Oggi risulterebbe realistico pensare a 5 milioni di tonnellate. Da quest’anno le acciaierie a ciclo integrale come l’Ilva dovranno pagare per le loro emissioni di CO2. Si tratta di una norma dell’Unione europea di cui io penso tutto il peggio. A ogni milione di tonnellate di acciaio prodotto a ciclo integrale corrispondono due milioni di tonnellate di CO2. E’ uno svantaggioso produrre acciaio a ciclo integrale“.
Ex Ilva, Gozzi: “L’acciaio è un prodotto strategico”
Il suo suggerimento è quello che l’ex Ilva deve passare dal ciclo integrale al forno elettrico: “Magari nel giro di 5 anni. Credo che un industriale della siderurgia italiana può affrontare una sfida del genere. Non è possibile non pensare al più grande produttore di prodotti piani in Italia che è Arvedi”.
Sullo Stato e sul ruolo che dovrebbe avere ammette: “Dovrebbe essere presente anche per negoziare in Europa la possibilità di sostenere la riconversione dell’Ilva con fondi pubblici. Lo hanno fatto i tedeschi perché dovrebbe essere impedito a noi? L’altoforno 5 non conviene più. Costerebbe 650 milioni e ci vorrebbero tre anni. Non avrebbe senso“.
Una operazione per Arvedi che si potrebbe risolvere in tre mosse: “L’uscita di ArcelorMittal, poi con una serie due diligence per valutare gli investimenti e la manutenzione per gli impianti ed infine la questione di non doversi fare carico dei debiti accumulati fino a qui. Quanto costerebbe? Non mi sembra il momento. Lo Stato dovrebbe realizzare gli interventi di decarbonizzazione e far ripartire il gruppo“.