Corpi dispersi in mare che non avranno mai un nome e resteranno dispersi, inghiottiti dal mare e lontani per sempre dalle loro famiglie.
Il racconto di Giuseppe Platania, dell’Associazione Memoria Mediterranea, restituisce la fotografia di una situazione che il resto dell’Italia e dell’Europa può soltanto immaginare. I protagonisti sono i migranti economici e politici che partono da proprio Paese alla ricerca di una vita migliore, ma muoiono inghiottiti dalle onde del mare.
È quanto accaduto anche nell’ultima tragedia di ieri, mercoledì 11 aprile: l’ennesimo naufragio che conta 9 morti e 15 dispersi in mare. A bordo di un barchino affondato nella zona SAR di Malta, a 30 miglia dalle coste italiane, c’erano 46 persone. Una motovedetta della Guardia Costiera italiana ne ha raccolti 23: quando sono arrivati a Lampedusa erano sotto choc. Tra loro c’erano 5 donne. Uno di loro è morto in ospedale, dov’era arrivato in condizioni disperate. Anche una bambina è morta e aveva tra i 4 e i 6 anni. Altri tre minori risultano dispersi insieme ad altre 12 persone.
Alcuni migranti sono ricoverati in condizioni critiche, mentre 16 si trovano all’hotspot di contrada Imbriacola. “Abbiamo ancora poche informazioni e per quanto riguarda il nostro lavoro di identificazione e recupero dei corpi, siamo alle fasi iniziali”, spiega Platania. “Le persone in ospedale stanno cercando i loro familiari, ma immaginiamo che siano naufragati con la nave”.
Del resto, “non è detto che l’identificazione avvenga. Per ogni naufragio di cui ci siamo occupati, il diritto all’identificazione del corpo non va dato ma va preso e negoziato con le autorità. L’abbiamo visto anche per la tragedia di Cutro”, aggiunge il volontario di Memoria Mediterranea, che si occupa di supportare le famiglie e le comunità nella ricerca e nell’identificazione dei migranti morti o dispersi nel Mar Mediterraneo. “Stiamo raccogliendo i dati che ci vengono forniti dai familiari, a partire dalle segnalazioni di persone presenti a Lampedusa e quelle che riceviamo attraverso i nostri canali, per tentare di identificare i corpi”.
Ma non è facile. Perché quando arrivano in Italia queste persone non hanno un nome, non hanno una storia conosciuta ed è possibile riconoscerli solo attraverso dei match che vengono forniti. E solo se vengono trovati in mare in tempi brevi. “È quasi impossibile trovarli. Rispetto a tutti i naufragi, posso dire che riusciamo a riunire ai loro familiari i corpi di pochissime persone. L’identificazione funziona solo se riusciamo a trovare un elemento che corrisponda a un corpo ritrovato”.
I volontari di Mem.Med operano a Lampedusa e Giuseppe è pronto a scommettere che fino al 2012 era possibile salvare molte più persone di oggi. “All’epoca c’erano i progetti europei, ma oggi sono stati abbandonati”.
Giuseppe, crede che il governo italiano non abbia contezza di quanto accade a Lampedusa?
“Il realtà l’Italia applica le leggi europee. Certo, questo governo lo fa in maniera più restrittiva, ma il Mediterraneo è diventato il confine più letale di quello Stati Uniti-Messico perché queste leggi continuano ad essere fatte. Si cerca sempre il capro espiatorio, lo scafista, che è considerato il criminale peggiore. Ma la maggior parte di loro lo sono stati per necessità: in molti vengono scarcerati perché non facevano parti di reti clandestine, ma avevano semplicemente preso il controllo dell’imbarcazione in una situazione di pericolo”.
Il governo italiano punta il dito contro l’immigrazione illegale.
“Le leggi europee hanno usato un principio di deterrenza che ha generato una serie di canali illegali per arrivare in Europa. Non si può chiedere l’asilo se prima non si è arrivati in Europa? Ma come fa una persona a partire se non ha un visto? Ecco perché le persone scelgono i canali irregolari. Il vero pool factor non sono le ong, ma la mancanza di canali legali”.
Gli accordi con i Paesi di partenza mirano proprio a sconfiggere l’immigrazione illegale.
“Prima con gli accordi con la Libia con Gheddafi e con Marocco permettevano una sorta di deterrenza rispetto agli arrivi, perché le partenze venivano bloccate nel Paese. Quando ci sono state le rappresaglie, questi accordi sono andati in fumo e hanno causato un aumento drastico della migrazione. All’epoca non si trattò di una crisi dei rifugiati, ma di una geopolitica, perché l’Europa aveva fatto accordo con dei dittatori. E cosa stiamo facendo negli ultimi anni? L’accordo con l’Egitto quest’anno, con la Libia, quello tra Turchia e Grecia, quello con la Tunisia dell’anno scorso. Questi dittatori ricevono dei soldi dall’Europa, quindi bloccano le partenze. La nave di ieri è partita dalla Tunisia: abbiamo molte testimonianze di persone che raccontato della Guardia costiera tunisina che causa i naufragi”.
Ieri il Parlamento europeo ha approvato il Nuovo Patto Migrazione ed Asilo.
“Il nuovo patto non fa che esacerbare la situazione, perché normalizza pratiche illegali. Una delle contraddizioni, come ho detto, è che l’unico modo per chiedere asilo è trovarsi in Europa: ma come si supera il confine? L’Ue ha reso l’hotspot territorio extraterritoriale, così nessuno potrà più chiedere asilo. Sia Lega che Pd hanno votato contro: questo deve far riflettere. Inoltre, c’è la questione dei minori di 12 anni accompagnati che dovranno seguire le stesse procedure degli adulti. L’Europa non ha rispettato la sua stessa convenzione sui minori”.