Harris e Trump vedono avvicinarsi il momento delle urne il 4 novembre prossimo: gli Usa sono chiamati alle elezioni presidenziali.
È calato il silenzio sulle imminenti elezioni presidenziali americane del 4 novembre prossimo. Non è certo una mancanza dei media, anzi. Semplicemente, le campagne si sono ammorbidite, proseguendo quasi sottotraccia su entrambi i fronti. Le campagne guardano molto a ciò che succede nel mondo. Eppure il mondo guarda loro, con crescente curiosità e voglia di raccontare. Ma da raccontare sembra esserci ben poco. Ed anche questa è una notizia.
Lo è perché le presidenziali statunitensi erano partite con il fervore tipico che solo la politica d’oltreoceano sa regalare. Le premesse c’erano tutte. Si tratta di elezioni che non hanno precedenti nemmeno nella storia americana. Da una parte c’è una candidata democratica afroamericana, ex giudice, consacrata solo grazie all’età avanzata del candidato in pectore fino a qualche mese fa, ovvero Joe Biden, attuale inquilino della Casa Bianca.
Dall’altro lato c’è il “solito” tycoon repubblicano Donald Trump. A capo di un “esercito” che per i quattro anni della presidenza Biden ha continuato ad urlare alle elezioni truccate del 2020. Tutti ricordiamo Capitol Hill, l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021 da parte dei sostenitori di Trump per contestare il risultato del voto. Poi c’è il primo scontro tra Trump e Biden che è passato alla storia, specialmente per le gaffe del secondo. Tanto da costringerlo poi a fare un passo indietro.
Dunque, perché è calato il silenzio nonostante i sondaggi restituiscano un sostanziale testa a testa fra i due candidati? Ci si aspetterebbe temi forti ed attacchi da una parte e dall’altra per provare a conquistare voto su voto. Ma se i repubblicani puntano sui soliti dazi (Trump ha parlato del 200% nei confronti del Messico), i democratici prevedono incentivi alle industrie. Da prendere in considerazione ci sono fattori interni e fattori esterni.
Il clima sociale e politico negli Usa è tesissimo, quasi esplosivo. E le parti in campo, persino i repubblicani, vogliono evitare pericolose scintille. Il tycoon è reduce da ben due attentati contro la sua vita. Ne sono scaturite polemiche anche sui servizi segreti, scontri e dimissioni. In qualche modo anche Trump è stato costretto ad un passo indietro.
Senza rinunciare al linguaggio che lo ha reso celebre, è arrivato comunque addirittura a doversi giustificare sul suo stato di salute ed ipotizzando una sconfitta. E parlando del fatto che, qualora arrivasse, nel 2028 non si ricandiderà. Un concetto che fa a pugni con quanto emerge dai suoi sostenitori: se Harris vincerà, non accetteremo il risultato. Cosa significhi, non è dato saperlo. Ma la “minaccia” è chiaramente una nuova Capitol Hill.
Nel frattempo il tycoon è tornato anche a Buttler, in Pennsylvania, il luogo dell’attentato a suo carico avvenuto lo scorso 13 luglio. “Come stavo dicendo…“, ha detto Trump quando è salito sul palco, fingendo di riprendere il discorso del comizio precedente, interrotto dalla sparatoria. Il tentato omicidio è stato ricordato con un minuto di silenzio all’ora esatta dell’accaduto, con un ricordo per la vittima di quel giorno, il vigile del fuoco Corey Comperatore. A metà comizio è salito sul palco Elon Musk, l’imprenditore proprietario di SpaceX e amministratore delegato di Tesla.
Allora, piuttosto che di uscite fortissime e plateali, si sta preferendo la strategia. Serrare le fila e bloccare l’avversario laddove possibile. I sostenitori di Trump stanno attuando un’operazione sottile che sta mandando in tilt gli uffici dei cosiddetti “Stati in bilico”, dove loro stessi sono convinti dei “brogli democratici” del 2020. Negli Usa, infatti, per votare è necessario essere iscritti nelle liste elettorali di un determinato Stato. Tutto deve essere in regola, residenza in primis. Ed è concesso a tutti di “contestare” determinate iscrizioni, costringendo le autorità a verifiche su verifiche.
Elezioni Usa e l’instabilità in Medio Oriente
Sono nate app e siti web non ufficiali che stanno procedendo a controlli più o meno amatoriali, dimostrando come il sistema non sia né chiaro né trasparente. Dall’altro lato ci sono Kamala e Joe, estremamente preoccupati da tutto ciò che si muove nel mondo. Harris sta cercando di distanziarsi dal presidente Biden per comunicare agli elettori indecisi. I collaboratori dell’ex procuratrice temono che quest’ultima venga percepita come “una estensione del presidente”. L’incapacità di incidere positivamente sul conflitto in Medio Oriente sta portando i democratici a credere che Israele stia mettendo in ombra il commander in chief Joe per favorire Trump.
Visto tutto ciò che si muove attorno al governo Usa, nessuna ipotesi è da escludere. Tanto è vero che il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha dato l’ordine di bombardare la capitale del Libano Beirut con l’obiettivo di eliminare il leader di Hezbollah Hassan Nasrallah proprio quando si trovava negli Usa, a New York, per partecipare all’Assemblea generale dell’Onu. Tutto senza avvertire il buon Joe di quanto stava per accadere. È da tempo che gli Usa non sono il centro nel mondo, né i guardiani del mondo. Eppure ciò che accade a quegli Usa simbolo dell’Occidente libero, nell’immaginario collettivo, continua ad interessarci in maniera compulsiva.