La premier Giorgia Meloni arriva in Libano mentre è in corso il conflitto tra Hezbollah ed Israele a seguito degli attacchi all’Unifil.
Il Paese in cui sta per atterrare la premier italiana Giorgia Meloni non è ufficialmente in guerra con Israele. Lo è il movimento sciita Hezbollah, radicato in Libano. Il 20% della popolazione, oltre un milione di abitanti, è sfollata. Proprio in queste ore l’Oms ha confermato un caso di colera. Poco fa il segretario generale dell’Onu ha confermato: “L’Unifil resta nelle proprie posizioni”.
L’Italia qui ha un ruolo chiave. Il contingente italiano di Unifil, che opera nel quadro dell’operazione Leonte, conta un impiego massimo di 1.256 militari, 374 veicoli terrestri e sei mezzi aerei, con base principale a Shama, nel sud del Libano. Da tempo Roma ha in corso anche una specifica missione bilaterale (Mibil) e presiede il Comitato tecnico militare per il Libano che coordina il sostegno internazionale alle Laf, le forze armate libanesi.
A Beirut Meloni sta per incontrare il primo ministro del governo ad interim Najib Miqati e il presidente del Parlamento Nabih Berri. Berri è il leader del movimento Amal, alleato di Hezbollah. La premier sarà il primo leader a visitare il Libano dall’inizio delle operazioni di terra delle forze israeliane. La presidente del Consiglio giungerà nel Paese dei Cedri a pochi giorni dagli attacchi di Israele contro la missione Onu Unifil.
Secondo Tel Aviv, Hezbollah utilizzerebbe i caschi blu come scudi umani. Tutto ciò avviene nella cosiddetta blue line, la frontiera di circa 120 km tracciata dall’Onu per separare il sud del Libano dal nord d’Israele. Il compito della premier sarà quello di confermare la stabilizzazione del confine chiedendo alle parti di rispettare di garantire la sicurezza del personale Unifil, sempre secondo l’ormai famosa risoluzione 1701.
Proprio in queste ore il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres, al quale il premier israeliano Benjamin Netanyahu aveva chiesto il ritiro della missione, ha inviato un messaggio all’Unifil. “Sono colmo di ammirazione e gratitudine per gli uomini e le donne dell’Unifil. – ha detto Guterres – La sicurezza del personale delle Nazioni Unite è la nostra massima priorità. Tutte le parti hanno l’obbligo di garantire la sicurezza del nostro personale”.
Il segretario dell’Onu ha quindi confermato che l’Unifil resterà nelle proprie posizioni e che gli attacchi contro i peacekeepers sono del tutto inaccettabili, contrari al diritto internazionale, anche umanitario, e possono costituire un crimine di guerra. “Ogni giorno fate sventolare la bandiera blu. – ha detto Guterres – La strada da seguire è chiara. Non vi trovate solo sulla blue line in Libano, siete letteralmente in prima linea per la pace”.
Sempre in queste ore, però, l’Organizzazione Mondiale alla Sanità ha lanciato l’allarme colera in Libano. Un caso è stato registrato ad Akkar, nel nord del Paese, ed è il primo dalla fine dell’epidemia tra ottobre 2022 e giugno 2023. “Malattie infettive come il colera – hanno fatto sapere dall’OMS – riaffiorano in Libano a causa delle scarse condizioni idriche e igienico-sanitarie e dell’impatto dell’attuale conflitto”.
Libano, vaccinazione anti colera interrotta dalla guerra
Il focolaio del 2022 e del 2023 è stato causato dall’accesso inadeguato all’acqua pulita e ai servizi igienici, con conseguenti 8.007 casi sospetti, 671 casi confermati in laboratorio e 23 decessi. Il governo libanese ha lanciato una campagna di vaccinazione orale preventiva, di concerto con Oms, Unhcr ed Unicef. L’iniziativa, però, è stata interrotta dall’escalation di violenza.
Il conflitto, insomma, sta mettendo a dura prova il sistema sanitario del Libano, già sovraccarico. Contribuendo a un ulteriore declino dei servizi idrici e igienico-sanitari e delle infrastrutture. I rifugi sovraffollati non sarebbero attrezzati per ospitare il numero crescente di sfollati. Aumentando i rischi di diffusione del colera.