Ieri i giudici del Tribunale di Bologna hanno chiesto chiarimenti alla Corte Europea per il caso di un cittadino di un Bangladesh: quali parametri considerare per i Paesi sicuri?
“È giusto che l’Italia tuteli i propri confini, ma bisogna incentivare l’immigrazione regolare. La responsabilità sui Paesi sicuri è reciproca: il Bangladesh non fa la propria parte”. Così Mohammed Taifur Rahman Shah, presidente dell’associazione Italbangla, attiva a Roma dal 1992. Il tema è da mesi ormai all’attenzione della politica, delle istituzioni, degli stessi cittadini stranieri. Quali e cosa sono i Paesi sicuri? Facciamo un passo indietro.
Il quadro è talmente a tinte fosche che nonostante direttive europee e leggi italiane, ieri i giudici del Tribunale di Bologna hanno chiesto chiarimenti su cui basare le proprie decisioni alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (Cgue). I magistrati emiliani, insomma, chiedono quale parametro sottenda alla designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro.
E per farlo i giudici hanno posto anche un caso limite: la Germania nazista. “Paradossalmente – hanno scritto i magistrati nella richiesta alla Corte – si potrebbe dire che la Germania sotto il regime nazista era un paese estremamente sicuro per la stragrande maggioranza della popolazione tedesca: fatti salvi gli ebrei, gli omosessuali, gli oppositori politici, le persone di etnia rom ed altri gruppi minoritari, oltre 60 milioni di tedeschi vantavano una condizione di sicurezza invidiabile. Lo stesso può dirsi dell’Italia sotto il regime fascista”.
Il caso, quello specifico, è nato nell’ambito di un procedimento sul ricorso di un cittadino del Bangladesh che aveva fatto domanda di protezione internazionale. Una richiesta giudicata dalla Commissione territoriale di riferimento “infondata” poiché la sua provenienza era un “Paese di origine sicuro”. A quel punto il cittadino ha impugnato la decisione. Il caso generale, invece, è ben noto ed è incentrato sui nuovi centri per migranti realizzati dall’Italia in Albania.
La vicenda dei centri albanesi
Subito dopo il trasferimento dei primi migranti nei centri, il Tribunale di Roma ne ha ordinato il rientro in Italia basandosi sul fatto che le leggi italiane non recepivano in toto le direttive europee. Il governo è quindi corso ai ripari con un decreto legge contenente una nuova lista di Paesi e nuovi criteri. Il Bangladesh, Paese di origine di alcuni dei migranti che erano stati trasferiti in Albania, nonché nazionalità del ricorrente di Bologna, rappresenta un caso particolare.
I giudici di Roma avevano giudicato specificato che per questo Paese c’erano da considerare “vittime di violenza di genere, incluse le mutilazioni genitali femminili, minoranze etniche e religiose, persone accusate di crimini di natura politica”, nonché “il crescente fenomeno degli sfollati ‘climatici’, costretti ad abbandonare le proprie case a seguito di eventi climatici estremi”. Senza considerare che il Bangladesh è al centro di un’ampia questione riguardante il decreto flussi, con inchieste aperte in più Procure che starebbero accertando la compravendita di nulla osta. Un business che avrebbe interessato anche la criminalità organizzata.
L’associazione: “I trafficanti di uomini devono essere fermati”
Della questione particolare del Bangladesh ne abbiamo parlato con il presidente dell’associazione Italbangla, attiva a Roma, Mohammed Taifur Rahman Shah. “Credo che un Paese, per la sua sicurezza, debba proteggersi dai viaggi clandestini e dalla criminalità. – ha detto il presidente – I trafficanti di uomini devono essere fermati. D’altra parte bisogna incentivare l’accesso regolare in Italia. È dal 2003 che è iniziata l’immigrazione attraverso i flussi in Italia. Dal 2003 al 2012 i cittadini del Bangladesh hanno goduto di un percorso regolare verso l’Italia. Il Bangladesh, però, non ha mai fatto la propria parte”.
Secondo Taifur Rahman Shah, insomma, il governo bengalese avrebbe sempre trascurato le proprie responsabilità. “Se il Bangladesh entra ed esce dalla lista dei Paesi sicuri, ciò è dovuto ad una responsabilità reciproca. Da una parte l’Italia incentiva l’immigrazione regolare, dall’altra il Bangladesh non sta facendo il proprio dovere. – ha continuato – Il Bangladesh dovrebbe controllare chi parte e fermare le persone che potrebbero trasformarsi in clandestini. Chi viene in Italia è controllato dai trafficanti. Ci sono datori di lavoro in Italia vendono il nulla osta, i bengalesi pagano moltissimi soldi. Una volta pagato anche 10 o 15mila euro, non vogliono rischiare di tornare in Bangladesh. Non basta denunciare, bisogna anche controllare”.