La Consulta boccia in parte la legge Calderoli: “Per quanto cerchi di minimizzare, è una sentenza pesante perché colpisce il cuore della riforma”.
Al centro della bocciatura della Corte Costituzionale del testo dell’Autonomia differenziata ci sono i Lep, gli sprechi pubblici e il ruolo del Parlamento, che deve essere centrale nelle trattative tra Stato e Regioni. Non esistono cittadini di serie A e serie B.
La legge Calderoli non è incostituzionale, ma alcune disposizioni sono illegittime. La Consulta ha dichiarato infondata la questione di costituzionalità dell’intera legge, posta da Puglia, Toscana, Sardegna e Campania. Ma allo stesso tempo ha bocciato sette punti contenuti nel testo. In sostanza: l’Autonomia differenziata si può fare, ma va modificata. Ora la palla passa alle Camere, che avranno il compito di colmare i vuoti normativi.
“Abbiamo avuto l’ennesima conferma che la maggioranza considera la Costituzione come un problema”, dichiara Salvatore Curreri, costituzionalista, professore di diritto Costituzionale dell’Università Kore di Enna, contattato da Notizie.com. “La bocciatura della Corte Costituzionale è pesante, per quanto Calderoli cerchi di minimizzare. La sentenza colpisce il cuore della riforma. Ho la sensazione che anche stavolta la maggioranza abbia dimostrato di avere una cultura non perfettamente conforme alla Costituzione. Non è certo la prima volta che la Corte boccia una legge importante, ma sono diverse ormai, le leggi che questa maggioranza fa e che cadono sotto i colpi della magistratura italiana ed europea. La legge Calderoli è l’ultimo anello di questa catena”.
Perché la Consulta ha bocciato in parte la legge sull’Autonomia
Ma quali sono i punti bocciati dalla Consulta? Il primo punto ritenuto incostituzionale riguarda l’intesa tra Stato e Regioni per il trasferimento di determinate materie. La Corte spiega che il passaggio deve riguardare specifiche funzioni legislative e amministrative e che debba essere giustificato in relazione alla singola Regione, “alla luce del principio di sussidiarietà”. In poche parole: lo Stato non può trasferire in blocco le funzioni, ma solo singoli comparti. Per fare un esempio: non tutto il settore scolastico, ma singole materie dello stesso come il personale, o altri aspetti simili.
“La Regione deve dimostrare specificatamente e non in maniera generica, che è in grado di esercitare una determinata funzione in modo più efficiente rispetto allo Stato”. Curreri ci aiuta a comprendere tutti i punti che la Corte ritiene incostituzionali della legge Calderoli. “E richiama un principio fondamentale della nostra Costituzione, quello della sussidiarietà verticale. Questo principio prevede che le funzioni legislative e amministrative vadano collocate a livello di governo, che deve assicurarne l’esercizio efficiente”.
Il nodo dei Lep: deve intervenire il Parlamento
Il secondo, il terzo e il quarto punto riguardano i Lep, cioè i livelli essenziali delle prestazioni. Secondo la Consulta vanno specificati in una lista, specialmente quelli sui diritti civili e sociali. E non dovrà essere un decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri a intervenire, ma il Parlamento. Perché i decreti non sono provvedimenti adatti a regolare diritti sociali e civili importanti come il diritto alla salute o all’istruzione.
“La legge sull’Autonomia prevedeva un ruolo secondario del Parlamento nella trattativa Stato-Regioni. Con la sentenza, la Corte ne recupera il ruolo centrale come sede della rappresentanza pubblica – spiega Curreri a Notizie.com – L’aggiornamento dei Lep non può avvenire per decreto del presidente del Consiglio, ma per legge. E in più, quando il testo arriva in Parlamento, essa può essere emendata, con possibilità di modifica e una rinegoziazione”.
“Il pericolo di un regionalismo competitivo e non più solidaristico”
Il quinto punto nel mirino della Corte costituzionale riguarda i conti pubblici e la possibilità di “modificare, con decreto interministeriale, le aliquote della compartecipazione al gettito dei tributi erariali, prevista per finanziare le funzioni trasferite, in caso di scostamento tra il fabbisogno di spesa e l’andamento dello stesso gettito”. Per la Consulta questa modalità rischia di creare Regioni di serie A e serie B, e paradossalmente, di premiare quelle inefficienti.
“Qui la Corte raccoglie il timore delle opposizioni che questo tipo di regionalismo possa essere competitivo e non solidaristico. La legge Calderoli avrebbe permesso ad alcune Regioni di diventare autonome fino a gestire determinate materie da sole, senza farsi carico dei vincoli di solidarietà rispetto alle altre”, dichiara ancora il costituzionalista. Nel mirino, anche le finanze: la Consulta intende evitare maxi spese per lo Stato.
Il sesto punto dichiara illegittima la facoltatività o la doverosità delle Regioni destinatarie del trasferimento di determinate materie, per lo spettro dell’indebolimento dei vincoli di solidarietà e unità della Repubblica.
Il settimo punto dichiarato incostituzionale riguarda le Regioni a Statuto speciale: non dovranno essere oggetto della riforma Calderoli. “Questa è una cosa evidente: se si vuole attribuire autonomia alle Regioni speciali, non lo si può fare con leggi ordinarie. Serve una legge costituzionale. È evidente”.
Che fine farà il referendum sull’Autonomia?
Dopo che la sentenza della Consulta verrà depositata, sarà il momento di porsi un’altra domanda: che fine farà il referendum abrogativo sull’Autonomia? L’unica certezza, al momento, è che dovrà esprimersi la Corte di Cassazione. “La Suprema Corte dovrà valutare se, alla luce di questa sentenza, il referendum abbia ancora senso o se alcune parti possano essere considerate abrogate”, spiega Curreri. “La sentenza ancora non c’è, non sappiamo se contenga punti del referendum. Però, se anche il referendum dovesse essere ammissibile, avrà ad oggetto aspetti del tutto marginali della riforma”.
Le opposizioni sul piede di guerra, con il Pd in testa: “L’avevamo detto”. I motivi di incostituzionalità sono gli stessi che “come Pd avevamo, inascoltati dalla maggioranza, sottolineato”. Per i Dem la riforma sull’Autonomia “non si può fare a costo zero” ma vanno liberate risorse “in capo allo Stato per la copertura delle spese”. Così in una nota i capigruppo di Senato, Camera ed Europarlamento Francesco Boccia, Chiara Braga e Nicola Zingaretti. “È del tutto evidente che siamo di fronte a una sconfitta del governo”.
La maggioranza però, non ritiene la bocciatura un grave problema. Il ministro per gli Affari Regionali e le Autonomie, padre della riforma Roberto Calderoli spiega al Corriere della Sera che “la gran parte dei rilievi mossi possono essere agevolmente superati in fase di attuazione della legge, anche con il coinvolgimento del Parlamento, come richiesto dalla Corte”.
La legge va avanti: lo sostiene anche il vicepremier e leader della Lega Matteo Salvini. “L’autonomia è stata riconosciuta come costituzionalmente corretta, si invita il Parlamento a fare delle modifiche, cosa che verrà fatta”, spiega, commentando ad Agorà, su Rai3.