L’ex attaccante del Manchester United e bandiera della nazionale inglese ha raccontato al DailyMail le difficoltà che ha dovuto affrontare in carriera: “Non è stato facile gestire la pressione di passare dalle case popolari di Liverpool al successo”.
Non si può certo dire che la carriera di Rooney non sia stata caratterizzata dagli eccessi. Per molti anni è stato il miglior calciatore inglese, un punto di riferimento per gli amanti del calcio d’oltremanica. Bandiera del Manchester United, che ha servito con onore in 559 presenze. Con la maglia dei Red Devils ha vinto tutto: 5 Premier League, 4 coppe di Lega, 6 Community Shield e una coppa d’Inghilterra a livello nazionale, la Champions League, la Coppa del Mondo per club e l’Europa League a livello internazionale.
Non solo. Rooney è anche il recordman di gol con la nazionale inglese. In 120 presenze con la divisa dei Tre Leoni, l’attaccante nato a Liverpool ha segnato 53 gol. Dopo l’esperienza negli Stati Uniti ha deciso di chiudere la carriera in Inghilterra con il Derby County. Dopo il ritiro non si è mosso, iniziando la sua carriera da allenatore sulla panchina dei Rams.
Dalle case popolari di Liverpool al successo: la verità di Wayne
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La carriera di Rooney però non è stata solo costellata di ori. Anzi, i problemi extra campo hanno spesso preso il posto dei suoi gol sulle copertine dei giornali. Risse e alcool lo hanno seguito per tutta la vita da calciatore. “Non ero pronto per diventare un calciatore famoso a 16 anni“, ha ammesso Rooney al DailyMail. “Ho impiegato molto tempo a imparare come gestire la pressione. È stato come trovarsi in un posto dove non sei a tuo agio“.
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“Il fatto di essere cresciuto nelle case popolari di Liverpool non mi ha aiutato“, dice l’ex capitano del Manchester United. “Di solito quando uno beve lo fa con gli amici in gruppo. Io invece rimanevo chiuso in casa due giorni a bere per cercare di cancellare dalla testa tutti i problemi che arrivavano dal calcio e dall’essere famoso. Giocare per lo United e per l’Inghilterra, c’era troppa pressione. Era l’unico modo che avevo per gestirla“.