Dimenticare Evin sarà impossibile per Cecilia Sala, ma non vede l’ora di andare avanti. Sorride, si emoziona, mentre racconta i ventuno giorni trascorsi al carcere di Evin ai microfoni di Fabio Fazio a Che Tempo Che fa.
“Alterno picchi di euforia e momenti di grande ansia che imparerò a gestire, e che per me sono nuovi”, ha spiegato la giornalista liberata nelle scorse settimane dopo l’arresto a Teheran, mentre lavorava nella sua stanza d’albergo.
“Sono stata fortunatissima a stare lì dentro soltanto 21 giorni”, dichiara. “Non me la sarei mai aspettata mentre ero lì. Il recupero è più rapido rispetto ad altre persone nella mia condizione, che sono state lì 544 giorni, come il giornalista del Washington Post nel 2014″.
Ventuno giorni non era un’ipotesi per Cecilia Sala. La sua, lo dice lei stessa è stata l’operazione più rapida dagli anni Ottanta per liberare un ostaggio in Iran. L’ultimo interrogatorio, incappucciata, è avvenuto il giorno prima del rilascio ed è durato 10 ore. “Mi hanno dato una pasticca per calmarmi, io l’ho presa. Sono crollata, a quel punto l’interrogatorio si è interrotto perché non ero in grado di rispondere”.
Chi ha interrogato Cecilia Sala a Evin
La giornalista racconta a Fabio Fazio che ad interrogarla è stata una persona che conosceva bene l’Italia, “bravissima, nel suo lavoro spaventoso”. Lo scopo era “tirare fuori qualcosa che dimostrasse che non fossi una giornalista e che potevo essere scambiata in un caso di sicurezza nazionale”.
Quando nel carcere degli orrori le è stata comunicata la sua liberazione, all’inizio “non ci credevo. Credevo che fossero i Pasdaran, che non si fidavano del carcere ufficiale. All’arrivo all’aeroporto militare, ho visto il primo italiano. Ho sorriso e poche ore dopo ero a Roma”.
Mentre in Italia andavano avanti le trattative, a Evin Cecilia sperava che tutto potesse risolversi prima dell’insediamento di Donald Trump: “Sapevo che c’era un conto alla rovescia. Se fosse cominciata una guerra aperta tra Israele e Iran, la mia situazione sarebbe stata molto complicata”.
“L’isolamento non è soltanto essere da sola in una cella, ma anche costruire una condizione psicologica per cui tu crolli. Ti possono accusare di spionaggio o reati inventati, che servono a farti pesare la posizione quanto quella della persona che vogliono liberare”, continua Sala ai microfoni di Che Tempo Che Fa.
Poi, il racconto degli orrori: “Quando la fessura della porta blindata della cella è chiusa non senti nulla. Quando è aperta senti i rumori delle altre detenute. Una ragazza prendeva la rincorsa per sbattere la testa il più forte possibile contro la porta blindata. I rumori che arrivavano dal corridoio erano strazianti, pianto, vomito, tentativi di farsi del male”. E la consapevolezza di essere fortunata di avere “un Paese alle spalle che ti protegge”.
A Evin “perdi anche un po’ la fiducia nella tua testa. Non ti fidi più della tua memoria. Anche rispondere agli interrogatori diventa un gioco psicologico pesante”. La telefonata che ha fatto realmente capire alla famiglia come stesse è stata “quando ho detto a Daniele che avevo paura di perdere un po’ la testa, il controllo dei nervi”.
“C’era qualcosa che non tornava nel mio arresto”
Cecilia Sala era stata arrestata con l’accusa generica (e formulata a fine dicembre) di violazione delle leggi della Repubblica islamica. “C’era qualcosa che non tornava nel mio arresto“, ha dichiarato la giornalista nel corso dell’intervista. “Ho preso in considerazione che fosse una detenzione illegittima non solo per me ma anche per loro. Che sapessero che l’indagine preliminare fosse fasulla, tutto finto”.
Negli ultimi giorni di detenzione, nella cella dove Cecilia era reclusa senza occhiali, senza materasso e con una luce perennemente accesa, è arrivata una compagna. “Ci siamo chieste come capire che ora fosse. C’era una finestrella sbarrata in alto che per qualche ora ci permetteva di intuire che ora fosse. Il riflesso della lice era la terza compagna di cella”.
Nei ventuno giorni di carcere a Evin, “ho pensato alle cose belle della mia vita e all’idea che le avrei riavute. Ai miei colleghi che erano incarcerati e sono stati liberati”. Cecilia ha spiegato che non tornerà più in Iran finché ci sarà la Repubblica islamica.