“Dai documenti è emerso che le aziende produttrici erano a conoscenza degli impatti sanitari di alcune molecole Pfas sin dagli anni Settanta/Ottanta. Purtroppo però hanno taciuto i dati alle autorità competenti”.
A parlare, in esclusiva per Notizie.com, è Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna inquinamento di Greenpeace Italia. Il ricercatore ha commentato i risultati della spedizione Acque senza veleni, portava avanti proprio dall’organizzazione ambientalista.
“Su queste sostanze i riflettori della ricerca scientifica – ha spiegato Ungherese – si sono accesi solo negli ultimi 25-30 anni, nonostante l’uso delle molecole fosse noto dalla metà del secolo scorso. Si deve ai processi a carico di DuPont negli Stati Uniti la loro conoscenza al pubblico più ampio. Dai documenti è emerso che le aziende produttrici erano a conoscenza degli impatti sanitari di alcune molecole Pfas sin dagli anni Settanta/Ottanta. Purtroppo però hanno taciuto i dati alle autorità competenti”.
Ungherese (Greenpeace) in esclusiva per Notizie.com: “Per molte molecole il quadro relativo agli impatti è poco noto”
Cominciamo col fare chiarezza su cosa sono le Pfas. Si tratta di un acronimo inglese che sta per perfluorinated alkylated substances. Ovvero sostanze alchiliche perfluorurate e polifluorurate. Sono note anche come inquinanti eterni. Dunque sostanze chimiche usate in numerosi processi industriali e prodotti di largo consumo. Queste si accumulano nell’ambiente e che sono da tempo associate a gravi rischi per la salute. La spedizione Acque senza veleni ha avuto luogo tra settembre e ottobre 2024 per verificare la contaminazione da Pfas dell’acqua potabile in tutte le regioni d’Italia.
“Negli ultimi anni numerose evidenze scientifiche hanno confermato la pericolosità di alcune molecole Pfas, come Pfoa e Pfos. – ha continuato il responsabile di Greenpeace – La prima è classificata come cancerogena dallo Iarc (l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell’Organizzazione mondiale alla sanità, ndr), l’altra come possibile cancerogena. Per alcune molecole conosciamo alcuni effetti, per molte invece il quadro relativo agli impatti è poco noto. Sarebbe dunque utile applicare concretamente il principio di precauzione anche per tutti quei composti Pfas su cui non esistono molte informazioni”.
Greenpeace ha realizzato la prima mappa nazionale indipendente della contaminazione da Pfas nell’acqua potabile, raccogliendo 260 campioni in 235 Comuni appartenenti a tutte le Regioni e Province autonome italiane. La quasi totalità dei campioni è stata prelevata presso fontane pubbliche. Una volta raccolti, i campioni sono stati trasportati presso un laboratorio indipendente e accreditato per la quantificazione di 58 molecole appartenenti all’ampio gruppo dei Pfas.
In 206 campioni su 260 analizzati, è stata trovata almeno una delle 58 sostanze Pfas monitorate. Ciò significa che il 79% dei campioni di acqua potabile risulta contaminato. Solo in 54 campioni (21%), non è stata registrata la presenza di alcun Pfas. Dati fortemente preoccupanti, considerando che solo nel 2026 entrerà in vigore in Italia una legge che recepisce una direttiva europea del 2020.
Gli Stati Uniti hanno adottato livelli molto cautelativi per tutelare la salute umana
“La suddetta direttiva è stata approvata nel 2020 con un quadro di conoscenze ben diverso da quello attuale. – ha affermato Ungherese – Basti pensare che pochi mesi dopo l’approvazione della direttiva, l’Efsa (l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, ndr) ha stabilito dosi massime di assunzione estremamente basse per la somma di quattro molecole, pari a 4,4 nanogrammi per chilo di peso corporeo a settimana. A partire dal parere Efsa, numerose nazioni europee (Danimarca, Svezia, Paesi Bassi, Germania) hanno introdotto limiti più restrittivi alla presenza di queste molecole nelle acque potabili. Analogamente gli Stati Uniti hanno adottato livelli molto cautelativi per tutelare la salute umana. Molte valutazioni potrebbero essere ulteriormente riviste al ribasso nel prossimo futuro a causa del parere Iarc. Anche l’Ue si sta muovendo in questa direzione”.
Gli attuali sistemi di depurazione quasi sempre non sono idonei a rimuovere i Pfas
Le situazioni più critiche si sono registrate in Liguria, Trentino Alto Adige, Valle d’Aosta, Veneto, Emilia Romagna, Calabria, Piemonte, Sardegna, Marche e Toscana. Le Regioni in cui si sono riscontrati meno campioni contaminati sono Abruzzo, Sicilia e Puglia. Considerando il parametro di legge “Somma di Pfas”, ovvero la somma di 24 molecole il cui valore, a partire dal gennaio 2026, non dovrà superare 100 nanogrammi per litro, le città con le concentrazioni più elevate sono risultate Arezzo, Milano e Perugia.
“A livello europeo è in discussione, su proposta di alcune nazioni, un divieto dell’uso e la produzione di queste molecole. – ha concluso Giuseppe Ungherese – Nel mentre che l’iter faccia il suo corso si può intervenire a più livelli. Il legislatore nazionale può introdurre un divieto dell’uso e la produzione, oltre ad attuare limiti più severi nelle acque potabili. Analogamente anche le Regioni possono scegliere di adottare limiti più restrittivi per la presenza di questi inquinanti nelle acque potabili. A livello di depurazione delle acque reflue, invece, è molto più problematico intervenire visto che gli attuali sistemi di depurazione quasi sempre non sono idonei a rimuovere i Pfas“.