Nightmare Alley (La fiera delle Illusioni) ha conquistato sia pubblico che critica e Guillermo Del Toro ci racconta la genesi intellettuale della pellicola.
Se c’è qualcosa di chiaro, all’interno del delirante uragano di opinioni e informazioni della persistente pandemia, è certamente la difficoltà nel portare le persone al cinema. I pochi prodotti che riescono nell’arduo intento, sono naturalmente gli stessi che da qualche anno dominano le classifiche degli incassi, quindi i soliti cinecomic o le storiche saghe radicate nella cultura popolare (es. 007). A sfidare tale certezza, ecco il magnifico Guillermo Del Toro, che poco più di un mese fa (27 Gennaio 2022), è tornato in sala con La Fiera delle Illusioni. In tutta onestà, la pellicola ha sostanzialmente floppato a livello di meri numeri, tuttavia sembra aver conquistato la maggioranza degli spettatori arrivati in sala (pochi ma buoni). Il film, in effetti, è un perfetto esponente della grandezza artistica del regista messicano, con un Bradley Cooper in stato di grazia. Al contrario del totale disastro, sia commerciale che di pubblico, di Ridley Scott con lo splendido The Last Duel, La Fiera delle illusioni ha convinto anche l’Accademy, con numerose nomination, tra cui quella per miglior film. Recentemente, proprio Del Toro, ha descritto il senso del lungometraggio all’interno dell’odierno contesto sociale. “Sembrava perfettamente calzante per i tempi che stiamo vivendo. È perfetto per i nostri tempi perché il noir parla sempre del periodo in cui è stato concepito. Il noir post-bellico parla di quella sensazione d’ansia. Il Lungo Addio di Robert Altman parla del dopo-Vietnam e così via. Quindi questo film è perfetto per discutere del mondo che stiamo vivendo oggi, della capacità che abbiamo di mentire e di farci del male a vicenda”.
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Non ci resta che aspettare il 27 marzo per scoprire quante e quali statuette riuscirà a portarsi a casa l’ultima fatica di Guillermo Del Toro.